martedì 23 ottobre 2012

DANIELA BERIA: PROFESSIONE ARTISTA (TRA L'ALTRO)

Ebbene sì, questo post è un(a) pro-post(a) di avvicinamento al mondo artistico e non solo di mia sorella, Daniela Beria.
Questo perché la forma, il tratto, il colore sono elementi espressivi di realtà e mondi possibili altrettanto potenti e semiologicamente ricchi, di quelli testuali cui, in genere, io mi riferisco in questo blog.
Il vegetale e l'animale afferiscono alla categoria del reale: al di là di ogni semiosi, essi vivono nella rappresentazione quali fenomeni osservabili e visibili e, solo in un secondo tempo, simbolici.
Non so che cosa un artista colga (in) o voglia trasmettere (in) ciò che rappresenta con il tratto grafico. Nel mio piccolo, penso che il movente sia una passione in parte innata, in parte coltivata, che rende ragione della personalità di una donna o di un uomo. Atto di comunicazione, dunque. E di espressione, inoltre.
Comunicazione, perché mette in comune con gli altri un prodotto della propra percezione.
Espressione
, perché si spreme, letteralmente, dalla parte più intima della persona. E si protende all'esterno, ai nostri occhi, in primis; in generale ai nostri sensi, in un'ottica sinsemica.
Comunicazione ed espressione sono atti reali che da sempre mi affascinano, nelle loro diverse manifestazioni.
Per questo rimando agli atti comunicativi ed espressivi di mia sorella, in modo tale che questi possano intersecarsi con le esperienze più diverse, dibattersi e scontrarsi nel mondo degli oggetti reali rappresentati o inventati, affiliarsi o congedarsi da stimoli artistici di provenienza esterna: in altre parole, e concludo, confrontarsi con ciò che sta al di là di ogni soggettività e, nel confronto, arricchire ogni parte.
Buona condivisione!

Daniela Beria sul Web, sito ufficiale
Daniela Beria su Facebook, pagina personale
Daniela Beria su Facebook, pagina artista

Colibrì, particolare.
Daniela Beria

sabato 11 agosto 2012

RUSSITALIANS 2012!


Dopo il meraviglioso viaggio tra Svezia, Norvegia e Danimarca, ecco, a seguire, un altrettanto intrigante ed istruttivo viaggio nella Federazione Russa, tra San Pietroburgo, Mosca e le città dell'Anello d'Oro!Il viaggio è stato intenso e, in parte, anche faticoso: ma ne è valsa la pena, sia per quanto visto con gli occhi, sia per quanto appreso con l'occhio della mente. Perché, mi sento qui di dire, per quanto visto, esistono tante 'Russie', unite dal filo rosso di una storia che semplice non è.

Il materiale raccolto in itinere è in via di reperimento e organizzazione. Operazione lunga, ma piacevole, perché, come già detto per la Scandinavia, consente di ripercorrere i sentieri seguiti e di (ri)collocarli in memoria: la nostra personale e quella digitale di cui oggi possiamo avvalerci! 

Su Flickr, nell'album che ora si chiama "Scanditalians2012 & Russitalians2012!", sono appena nati due nuovi set di fotografie, ricchi di una variopinta quantità di scatti realizzati qua e là, nelle diverse tappe del tour.  

Nel secondo set c'è qualche ripetizione... ma, come detto, i lavori sono in corso: i commenti alle fotografie sono assai ben accetti...
E qua e là, tra una guglia e l'altra, ci siamo noi, il gruppo dei Russitalians 2012! :-)

Questo, per iniziare con qualche assaggio fotografico... Poi, come tipicamente avviene giocando con i mattoncini del Lego, chissà che il nostro castello dei ricordi non si ampli, a mezzo di video, fotomontaggi e... di quel che sarà! 
A presto!

mercoledì 4 luglio 2012

SCANDITALIANS 2012!

Eccomi qui a postare su questo blog qualche link ad un bellissimo viaggio tra Svezia, Norvegia e Danimarca...
Un viaggio con altre persone simpatiche e piacevoli con cui si è deciso di condividere una etichetta... una sorta di traccia nel ricordo del tempo passato insieme. Sta nel titolo del post: 'Scanditalians 2012'!

Il materiale è in via di reperimento e organizzazione. Operazione lunga, ma piacevole, perché consente di ripercorrere i sentieri seguiti e di (ri)collocarli in memoria: la nostra personale e quella digitale di cui oggi possiamo avvalerci! 

Ecco allora che su Flickr, scanditalians2012, è appena nato un set di fotografie ricco di una variopinta quantità di scatti realizzata con diversi dispositivi, diverse risoluzioni, immagini in movimento o statiche! Alcune sono un po' sfocate, altre sono meravigliose cartoline, alcune riguardano la natura selvaggia, altre ritraggono scorci di splendide città... 
E qua e là ci siamo noi, il gruppo degli Scanditalians 2012! :-)

Questo, per iniziare con qualche assaggio fotografico... Poi, come tipicamente avviene giocando con i mattoncini del Lego, il nostro castello dei ricordi si sta via via costruendo. E' ora pronto il canale su YouTube con alcuni video caricati. Il nome del canale? Scanditalians2012, ovviamente! Dove trovarlo? Cliccando su questo link... e, by the way, non perdetevi il video 'Tivoli by night!" ;-)

A presto!

sabato 26 maggio 2012

RECENSENDO

Finalmente un po' di tempo per aggiornare il parco recensioni.


Intanto, prosegue il commento ad alcuni testi 'laterali' di Maurizio Ferraris, tra cui:

Quindi, un accenno ad un vocabolario molto utile, laddove si abbia necessità di leggere testi di filosofia che diano per scontata la conoscenza del greco:




Ecco poi un breve pezzo di Jacques Derrida:
-... soprattutto niente giornalisti!






E, tanto per concludere la giornata, un paio di guide utili e ben fatte sulla California:
- California, National Geographic
- California, Mondadori



Questi link (che, puntando ad aNobii, non è detto che funzionino!) in attesa di potere fornire alcune note su alcuni test di Luciano Gallino e su altre opere di Maurizio Ferraris, nonché di Benjamin R. Barber e Jacques Derrida...



Ogni libro... a suo tempo! :-)

giovedì 17 maggio 2012

IL VENTO DEGLI ANNI OTTANTA

(ovvero la notte, l’amore, la vita, il sesso, l’energia, le donne e gli uomini)

... correva il settembre 2001, e così scrivevo...

La musica degli anni ’80 è l’alito della notte, quando ci si può sentire (feeling), quando ci si può toccare, quando si può fare l’amore, giocare con il sesso. Sentirsi vivi nella notte è questo, in quegli anni di boom e di spensieratezza, di luci psichedeliche, artificiali arcobaleni risorti da una depressione lontana.
Si è forti (strong), nella notte, dentro occhi pieni di desiderio e mani e carezze ricche dell’emozione tattile e sensuale di quegli anni. Si sopravvive (to survive) ad ogni incertezza, perché di incertezze, di fatto, non ce ne sono. La vita è energia. L’incontro dei sensi (e nei sensi) è la via. Gli uomini e le donne danzano un fandango lontano da quello infernale dei tempi passati. Il desiderio scivola libero, perché desiderare è libertà, in un’epoca che sta debellando i vecchi tabù, sconfitti dal loro stesso peso.
Il corpo e la danza dei corpi sono i nuovi (in realtà assai vecchi) riti di ingresso nella società del benessere: emozioni fuori controllo sono la regola, non la violazione di regole. Il mondo elettrico è fusione, sintesi tattile di ogni senso, miscela di gusto e di alcol, di nudità e sudore, di provocazione e ritrosie accattivanti. Toccare (to touch) è il verbo che compare più spesso nelle discoteche dell’epoca felice. Il con-tatto, il tatto-assieme, apre le porte ad una nuova consapevolezza, che non esito a definire comunitaria. È la comunità del ritorno ad una adolescenza mai perduta e che non si vuole perdere o, meglio, del movimento di ritorno di chi non vuole più essere-diventare adulto. La vita è adesso. La vita è ora. Che cos’è la vita? La vita è la vita (life is life!).
Siamo ragazzi selvaggi (wild boys) in un mondo ipertecnologico. Creiamo nuove tribù, unite nel suono e nei corpi. Ci controlliamo da soli (self-control): gli adulti non ci giudichino! Ma gli adulti, negli anni ’80, non giudicano per nulla. Tentano semmai, come possono, di vivere quello che i loro figli stanno vivendo: il cielo sereno prima di  una (non prevista) tempesta. Lontani ancora gli ripercussioni degli anni '90, della riflessione, delle eredità perdute, del crollo degli imperi. Inimmaginabili gli anni  '10 del Millennio a venire.
Per ora, non perdere la notte è l’unica via per un senso. La vita e la notte si uniscono in un amplesso che sembra naturalmente, secondo natura, inscindibile. Dolci sogni di libertà (ma che cos’è la libertà?) troneggiano nelle voci e nei mixer elettronici. Una nuova potenza (power, self-power) rinvigorisce gli animi, ancora un poco dispersi e fusi tra acidi e sostanze psicotrope. Tutti possono provare l’esperienza di essere i sacerdoti della nuova epoca, tutti sono in cerca di qualcosa, o di qualcuno (everybody is looking for something!). La tolleranza sembra il codice, ma è tolleranza solo all’interno della tribù-discoteca, mentre, là fuori, blocchi contrapposti scatenano sempre più tiepide battaglie, per poi non lottare più.
Maestosità di archi elettronici, di laser sprizzanti fasci ibridi da plance alla Star Trek, flash ritmanti la vista ed il movimento, bassi da far sussultare stomaco e cervello fanno da sfondo e da primo piano per il living together di quella generazione, che mai sarà sentita così lontana, ed al contempo mai così invidiata, come dai giovani del Duemila. It’s the final countdown: ed è, purtroppo, maledettamente vero. Il conto alla rovescia verso i problemi e le incertezze di fine Millennio sta terminando. E gli anni ’80, nel frattempo, brindano ai suoni ed alle luci futuristicheggianti distribuite dalle multinazionali globali.
Globale è lontano. Disco è vicino, almeno in Europa. La notte è per tutti. All the night is my world, in the day nothing matters, in the night no control, in the night all world is free…Doveva essere così, dovevano sentirsi così, dopo un passato alquanto bizzarro e strano. La ricchezza c’era e, dove non c’era, si doveva simularla. La notte rendeva tutto più semplice…
Altra icona di riferimento per gli spasimanti dell’epoca, quella moonlight shadow, sotto la quale e per la quale si consumavano le prime notti di amore, le prime esperienze pienamente adolescenziali,  quando si svelavano, e sempre più presto, i segreti del sesso, non ancora inquinato e sottoposto al terrorismo dell’AIDS, ebbene, proprio quella luce lunare si andava affievolendo sempre di più, al volgere degli anni ’90.
Da da da da da, da da da da, Life! Intorno al fuoco, in montagna e sulle spiagge, sotto le coperte in un rifugio sperduto, o nei sacco a pelo di fortuna delle spiagge dell’Adriatico (per l’Italia), ovunque la disco creasse comunità, ebbene, lì si inneggiava alla vita, intesa come esplosione di momenti, come vita vissuta, come attimi da carpire con le unghie alla festosa realtà intorno (che già tremasse nell’aria lo spettro di quel che sarebbe venuto dopo?).
Gli anni ottanta stavano creando il mito di se stessi. Mai si era vista una simile autocelebrazione prodotta e consolidata da musica e spettacolo. Vamos a la playa, come dire: siamo di quest’epoca, e lo saremo per sempre. Nessuno avrebbe allora mai potuto prevedere che anche il fortunato Drive in sarebbe scomparso. Gli anni Ottanta ci hanno creato, niente ci trasformerà in qualcosa di diverso. Non fu così.

E ora? Che cosa significano gli anni Ottanta, per noi, adesso?
Risponderò per me. Per me significano un vuoto, una lacuna, una carenza di corpo, sensuale, pressante, inebriante. You can touch me now, this is the night, I wanna feel your body: sono formule magiche in cui non crediamo più. Quando l’individuo e le sue cose si sono fatti dei, bé, anche il calore di quella musica e di quelle notti si è trasformato, come direbbe qualcuno, in “calore di fiamma lontana”. Se c’eri, dovevi viverla quell’epoca. Non si sarebbe ripetuta, non avresti potuto riviverla. Io non c’ero, e l’ho perduta. Ecco il vuoto, la mancanza del ritmo dell’istante, dell’immediato, del non-mediato da tutte le istituzioni che ci ronzano intorno. Mi sono perso parte dell’immediatezza del rapporto con l’altro. Tutto, negli anni ’80, era medium, questo è innegabile. Ma il medium è ciò che, per definizione, sta in mezzo. Si doveva attraversarlo, forse non schivarlo, anche se il costo poteva essere alto. Ora è passato. Il passato non torna, tanto più un passato come quello degli anni ’80, e cioè un passato che doveva rimanere sempre un eterno presente. Ci siamo persi qualcosa. 
Del resto era inevitabile: dopotutto, Life is Life!

P.S.: Mi chiedo spesso perché scrivo.
- Perché scrivo?
L’ho chiesto ad uno che, gli anni ’80, li deve aver vissuti. Ecco la sua risposta:
- Perché…perché “These are the  things I can’t do it without”…

venerdì 20 aprile 2012

ETIMO-LOGICANDO COLLEGA(MENTI)

Dal Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, consultabile on-line, alla voce 'collega' (il sostantivo, non il verbo appiccicoso, per intendersi) ci sta:
Lat. "Collèga" da "Collígere", riunire, raccogliere insieme, composto di ‘com’=’cum’, insieme, e ‘Lègere’, raccogliere, radunare. - Compagno in alcun ufficio o nell'esercizio di qualche nobile professione.
Ora, l'etimologia è chiara: il collega è un tizio o una tizia con cui sei stato raccolto insieme o fisicamente, in un luogo, tipo un'ufficio; o, in senso lato, in un gruppo anche non fisicamente uni-collocato che esercita una qualche nobile professione.
Nobile, perché una volta il professionista aveva anche di questo, per noi un po’ logoro, aggettivo, che ora appare quasi uno sberleffo autoironico inserito da un diavoletto monello nella definizione di collega.

Prendiamo un dizionario più recente, che so, l'Hoepli. Ecco qui:
Collega - [col-lè-ga] - s.m. e f. (pl. m. -ghi, f. -ghe) - 1 Chi esercita la medesima professione o arte o mestiere: siamo colleghi; onorevoli colleghi .2 Compagno di lavoro, spec. dello stesso.

Già sparisce il nobile aggettivo. Grottescamente un'eco risuona nell'esempio proposto dal dizionario: 'onorevoli' colleghi, che, in genere, è l'appellativo utilizzato dal presidente di Camera o Senato per richiamare (al)l'attenzione (de)i nostri italici rappresentanti. Che, dati i tempi, nobili non lo sono più; onorevoli, bé, diciamo non nel senso etimologico del termine. Forse in un altro senso, quello della legge dell'onore che si rispetta nella malavita rispettabile. Ma questi sono dettagli.

Torniamo al nostro collega di partenza.

Il dizionario ci dice che condivide qualcosa con noi: uno spazio o una attività o, il che va per la maggiore, un mix di entrambi. Tu ed il collega siete in collegamento con il lavoro che fate e con il luogo (fisico o mediato) in cui lavorate. O in cui esercitate la vostra professione che, lasciando da parte quella di fede, significa un lavoro che si esercita pubblicamente, in cui si ha fede (ma non quella implicata prima), per cui siete pronti ad osservare deontologie e a manifestare, insieme, appunto, ai colleghi, una aperta ed esplicita lealtà e, fors'anche, una certa riverenza.

Bene.

Il collegamento che si ha con il collega, naturalmente, non è un rapporto naturale (può diventare sentimentale, ma è un'altra, complicata, faccenda). Si tratta, piuttosto, di un rapporto presidiato dal lavoro o professione in cui si è colleghi. E', per dir così, naturalmente artificiale. Già da qui si può inferire che la base del rapporto con il collega è l'assenza di una base di collegamento che si presenti diversa dalla finalità del lavoro e della professione, base che consiste nell’ottenere qualcosa in cambio della propria opera. Tipo -ma non generalizziamo troppo- uno stipendio o il pagamento di una parcella o anche cose quali la gratificazione e via astraendo, che però sono meno, come dire, basilari, che so, rispetto ad una solida base stipendiale.

Il collegamento che si ha con il collega è quindi un collegamento derivato (o indiretto), cioè che proviene e nasce dall'esigenza di una cosa più ampia che si chiama organizzazione o società o roba simile. In cui i colleghi, di diverso livello, sono collegati con te da basi diverse ancora, tipo quelle dei pianerottoli a scendere o a salire, che sono, per dir così, una rappresentazione di una gerarchia collegata da saliscendi.

Possiamo chiamare colleghi i colleghi che si collegano a noi con collegamenti a gerarchie diverse? Sicuramente sì, da un lato, in quanto la gerarchia non preclude il collegamento. Che avviene, naturalmente, saliscendendo piani diversi, nello spazio e nella logica relazionale. No, dall'altro lato, se vogliamo limitare la definizione a chi esegue attività simili alle nostre, poste cioè 'sullo stesso piano'.

Alla base di tutti i collegamenti citati, non naturali, resta comunque la finalità di ciò che, appunto, accomuna i diversi colleghi: e cioè il prestito di qualcosa di sé per ottenere (un collegamento con) un mezzo economico in grado di garantire, in primis, la sussistenza; in secundis, bé, tante altre cose.

Dunque, se il collegamento è di tipo finalistico, verso un principio unificatore che sta nella sussistenza, quello tra colleghi potrebbe essere diverso da un collegamento collaborativo? Bé, no, da un certo punto di vista, perché la sussistenza serve a (quasi) tutti. , da un altro punto di vista, perché, oltre alla sussistenza, un collega vuole possedere questo, un altro desidera quest'altro, un terzo si differenzia ancora in termini di scopo. Il collegamento, in questo senso, non può che essere identificato anche come competitivo.

La naturalità del collegamento tra colleghi si riduce quindi al primo etimo esaminato (in sé non finalistico, perché, naturalmente, si può essere colleghi nel fare nulla…): l'essere stati messi insieme per realizzare una attività più o meno collegata. Il collega è un collegato, cioè, nel collegamento, è in parte un soggetto passivo. Cioè è scelto e poi collegato: raramente può scegliere il collegamento e la collocazione. Ed è meglio così, perché, in caso contrario, gli scopi diversi di ognuno eserciterebbero una forza centrifuga tale da rendere impossibile ed impensabile ogni collegamento, ogni organizzazione cooptativa o, se va bene, collaborativa, in ogni caso produttiva.
Per questo non ci dobbiamo aspettare “il mondo” dai colleghi. Sono come noi, pezzi di esistenza che si intersecano con il nostro pezzo di esistenza, in un certo luogo (materiale o virtuale) e per un certo tempo (per noi esseri umani, per fortuna, mai infinito!).

L'intersezione, buona o cattiva che sia, nobile o meno che sia, onorevole o disdicevole che si presenti, è una associazione di scopo (non mi richiamo qui al senso sociologico del termine, in quanto precludo, in questo discorso, una coscienza comune, collegata), una associazione fondamentalmente etero-diretta dallo scopo sussistenziale o, più largamente, esistenziale di una struttura che ‘sta intorno’.

Se sono eterodiretto, mica ci sta che debba io auto-dirigermi verso il prossimo, eliminando tutte le disparità e differenze. Si mira all'accordo, al collegamento mediamente produttivo, alla concatenazione di attività preferibilmente non ignobili. Attenzione! Non si tratta di compromesso. Si tratta di collegamento con la realtà. Non è un granché, lo so, ma la vita stessa non è (nel maggiore dei casi) un granchè.

E poi, diciamocelo, nel mondo del collegamento eterodiretto, è vero, alcuni sono colleghi.
Ma altri sono anche amici o amiche: scusate se è poco!

mercoledì 4 aprile 2012

GIOCHI DI POTERE

"Lei si preoccupa di quello che pensa la gente? Su questo argomento posso illuminarla, io sono un'autorità su come far pensare la gente" (Kane, Quarto Potere)
"Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" (Howard Beale, Quinto Potere)
"Insomma: e se Internet rischiasse in qualche caso di trasformarsi in una specie di 'Sesto potere', ancora più potente del Quarto di Orson Welles e del Quinto di Sidney Lumet?" (Alessandro Gilioli, L'Espresso, 2007
Non sono certo del Quarto e del Quinto, ma sul Sesto Potere non ho dubbi: la sua potenza è proporzionale alla dose di realismo con cui viene espresso dalla gente. Perché ci vuole la gente, quella reale, che si attivi ed eserciti nel mondo reale i clic del Sesto Potere. Altrimenti si riduce ad un abito, che mal si adatta alla realtà su cui si vuole, con le parole, incidere. Ammesso poi che le parole possano emendare porzioni del reale. Limitiamoci a constatare che quelle 'scomode' sono parole che producono reazioni nel reale. Producono l'agire delle persone vere. Perché tendenzialmente si avvicinano a pro-porre una verità che, ancora adesso, a parte per qualche nichilista post-moderno, induce a ragionare sul vero e sul falso di quanto detto o scritto, a porre dubbi e domande, a cercare una articolazione che verifichi o falsifichi la proposizione scritta. Certo, non ogni proposizione scritta. Solo quella che in sé tocca 'code di paglia' reali. Le quali, tendenzialmente, il Potere -diciamo quello semanticamente più tendente al 'Quarto'- deve circoscrivere o, ancora meglio, sopprimere, tacitare, rendere silenti. S-mentire mentendo.
Epperò. Ci sta un però. Anzi tre 'però'. Il Potere, infatti, non consiste (solo) nel far pensare in un certo modo la gente. Neanche nel far passare qualcuno "pazzo profeta dell'etere (del 'wifi', della 'cloud'...)", al fine di relegare le parole della realtà nel mondo lontano e confuso della follia, cioè di un testo senza-senso o di un senso in- e im-proprio per il Potere. E non è neppure "persuasione occulta e manipolazione dei cervelli", sibilo di Internet nelle orecchie del Mondo.
Il Potere, che si attiva solo quando la parola si avvicina ad una realtà pensata e temuta, in quanto reale, è piuttosto un sinonimo di quello che un tempo (forse ancora oggi, ma con meno pregnanza) è stato il peccato capitale per eccellenza: la Superbia. La Superbia, quella che è "originata comunemente dalla presenza di due personalità critiche: apparenza e violenza, esagerata stima di sé e dei propri meriti (reali o presunti), manifestata con un continuo senso di superiorità verso gli altri" (cito da Albanesi.it). Senso di superiorità che si deve esercitare quale imperativo morale del superbo, apparente affermazione di un'etica del dovere dei singoli inferiori nei confronti di enti(tà) superiori, cui tutto, o gran parte, è dovuto.


Da qui non occorre molto per capire che al Potere, che si è immedesimato con la Superbia, arrogandosi il diritto assoluto di dire, di fare parola, di registrare violazioni, supposte tali, del reale inferiore, anch'esso pre-supposto oggetto di s-mentimento, l'unica vera parola e azione che si deve opporre, nell'agire individuale, è il Coraggio.

Bel discorso. Peccato che:


"Come dice Don Abbondio, 
se uno il coraggio non ce l’ha, 
non se lo può dare".


mercoledì 28 marzo 2012

LA VITA DEGLI ALTRI


Sono pericolosamente invidioso della Vita altrui. Voglio la Tua Vita, la voglio assorbire, gustare, assaporare sino alla nausea e poi vomitarla via. L'Invidia è la mia Dominatrice e da Ella, solo da Ella voglio essere intimamente posseduto, sino alla Follia. Non desidero il Purgatorio, non starò coperto con il cilicio e con gli occhi cuciti di fil di ferro, piegato a sussurrare litanie e preghiere, per eoni, per comprarmi il paradiso: io Voglio l'Inferno. Io invidio anch'Esso, sublime regno del Peccato, che sempre arde Vivo.
Ha scritto quel mediocre che risponde al nome di Carlos Ruiz Zafón
:

"L'invidia è la religione dei mediocri. Li consola, risponde alle inquietudini che li divorano e, in ultima istanza, imputridisce le loro anime e consente di giustificare la loro grettezza e la loro avidità fino a credere che siano virtù e che le porte del cielo si spalancheranno solo per gli infelici come loro, che attraversano la vita senza lasciare altra traccia se non i loro sleali tentativi di sminuire gli altri e di escludere, e se possibile distruggere, chi, per il semplice fatto di esistere e di essere ciò che è, mette in risalto la loro povertà di spirito, di mente e di fegato. Fortunato colui al quale latrano i cretini, perché la sua anima non apparterrà mai a loro".


Che i cretini non latrino mai a me, perché la mia anima
è la loro!

Che l'Invidia roda il mio cuore! Ad Ella lo dono, quale magnifico sacrificio di quanto più Umano è in me!

Perché l'Invidia è svalutata, laddove Essa è Nutrice e Motrice del Mondo!

giovedì 15 marzo 2012

A DOMANI... O A DOPO!

Una volta lasciavi un post-it con le note da trasmettere a parenti, amici e colleghi, tipo quando te ne andavi a fare la spesa o, magari, la sera, o quando partivi per il week-end. Con un "ciao", "a presto" o "a domani" a chiudere il messaggio. E il post-it, tipicamente, te lo leggevano il giorno dopo, a casa, al lavoro, in palestra.  Così, "a domani" andava bene. Oggi lasci una mail o un post-it digitale, ma, tipicamente, il messaggio te lo leggono poco dopo, per esempio la sera prima di andare a dormire. O dopo cinque minuti, sul telefonino o sul tablet. O anche il giorno dopo, quando si accendono i pc. Così a fine nota, ora ci mettiamo un "a domani o a dopo"'... perché già sappiamo che il momento della ricezione è instabile, incerto, il più delle volte... più vicino
E così ci si sente un po' come un post-it appiccicato al filo del bucato del tempo. E chissà quando verremo staccati.

martedì 13 marzo 2012

FRINGE... BENEFITS!

... benefits almeno al sottoscritto! E così ho finito di guardare la seconda serie: dal momento che "Possibility is everything", bé, confido a breve di rintracciare terza e quarta serie ;-)
Anche perché di Battlestar Galactica sono, a dire il vero, un po' stufo... RAI 4 si sta accartocciando un po' troppo sul passato. Chuck un poco mi annoia; Supernatural è un po' ripetitiva ed eccede nel focalizzarsi sul rapporto padre-figlio-fratello; Dr. House si è un po' spento, ma ci conto ancora; Lie to me è una figata, ma è difficile trovare tutte le trame intriganti; Castle è poco credibile (come personaggio, intendo); Survivors è uno strazio; Nip/Tuck è iniziato bene, per finire male e noioso; Ally McBeal era forte, era, intendo; Prison break ti teneva acceso, ma è finito; straordinaria, almeno per me, è stata The Shield, dalla prima all'ultima puntata; uff, non mi dilungo con altro, se non pensando all'intelligentissima serie titolata Dr. Who, lasciando perdere quella schifezza spinoffiana che è Torchwood
Vabbé, ci sono un sacco di film (e o serie) più sostanziosi e belli da vedere, direte voi. Ma, tornando all'inizio, Fringe era in grado di distrarmi. Nel modo giusto. Con il gusto giusto. 
Nell'attesa di accalappiare le stagioni successive, credo che proseguirò le mie letture filosofiche
Oggi ho fatto una recensione, come preannunciato in un post precedente, al testo-tascabile "Ontologia", di Maurizio Ferraris.
La recensione al testo sta qui. Io sto per andare a riposarmi un poco...
A si bidi.

domenica 11 marzo 2012

UNA DOMENICA PASSANDO IN RASSEGNA

Questa mattina è una domenica solare e calda, sotto il cielo (in genere grigio) di Torino. Non ho tuttavia voglia di uscire, perché decido di passare in rassegna, detto altrimenti, di recensire un paio di testi su aNobii.
Il primo è "Una brevissima introduzione alla filosofia", di Thomas Nagel (Edizione 2009 Il Saggiatore Tascabili (collana Saggi), XVI-119 p., brossura, traduttore Bestente S.), un testo che mi ha deluso, sebbene l'autore, nella stragrande maggioranza degli altri suoi testi che ho letto, si sia sempre rivelato un divulgatore ed un ragionatore eccezionale. Qui c'è il link alla mia recensione.
Qui, invece, in formato PDF (attenti alle pagine stampate a zigzag!) potete leggere la prefazione e l'introduzione al testo.
Il secondo è un testo che aleggia e veleggia da tempo in questo e in molti altri blog, nonché fuori dalla rete e via aleggiando, e cioè il cinque stelle con onore al merito "SpotPolitik. Perché la casta non sa comunicare
" dell'aca-blogger di fiducia e autrice Giovanna Cosenza (2012, VIII-207 p., brossura Editore Laterza (collana Saggi tascabili Laterza)). Un testo analitico e robusto, ricchissimo di spunti radiali, mai eccessivo, sicuramente dialogico e fonte del "ragionare bene per agire meglio". Qui il link alla mia recensione.

Un altro testo sta attendendo recensione. Si tratta di 
"Ontologia" di Maurizio Ferraris, 2003, 172 p., Editore Alfredo Guida (collana Parole chiave della filosofia), un testo brevissimo, con antologia di testi inclusa, che si difende stramaledettamente bene tra le varie (molto lunghe) introduzioni all'Ontologia scritte dai filosofi più disparati. Un manualetto che, se fossi discente in filosofia, mi porterei ben stretto nella tasca interna della giacca (è davvero un tascabile alto e 'stretto'!) o terrei con cura nel cassetto degli 'indispensabili'.


E' un testo-guida che merita... ma ne scriverò un'altra volta.
Buona domenica!

giovedì 8 marzo 2012

MIMOSA, DONNE E UOMINI E... UN BRICIOLO DI SPOTPOLITIK!

Profumo di mimosa in ufficio. Colleghe si trovano con un bel mazzo di mimosa sul tavolo, portato da un galantuomo di primissima mattina. Non sono io, quel galantuomo. Perché a me piace vivere ogni giorno, con le donne che conosco, al lavoro, amiche, familiari, come se fosse sempre il giorno della mimosa. Lasciamo stare la retorica: le donne ci rendono uomini, e viceversa, anche se la storia e l'attualità paiono, sotto questo punto di vista, mostrare una certa asimmetria. Io la posso vedere, ma non la sento nel vivere: le donne e gli uomini, con le loro peculiarità, mi piacciono, in quanto esseri umani. Purtroppo il linguaggio tende al maschile. Ma basta poco per rimediare: basta essere libere/i da pre-giudizi, troppo affrettati, troppo affettati.
Comunque ecco che sento alla radio e su "La Repubblica", un breve discorso sulla mimosa dell'allora partigiana e sempre filosofa Teresa Mattei, da cui ricavo alcune cose a me non note. Intanto che la mimosa, in Italia -siamo all'8 marzo 1946- fu simbolo e veicolo visivo della "voglia delle donne di emergere e farsi notare": perché la mimosa? Perché, racconta Teresa Mattei, in Italia, in marzo, "non ci sono i mughetti, ma la mimosa, fiore sgargiante, bello, poco costoso". Un fiore "gentile", adottato in quanto esemplare della gentilezza delle donne. E' un simbolo ancora attuale? Teresa Mattei ci dice che oggi, la mimosa, con la sua carica simbolica e comunicativa, è fonte di "disprezzo da parte della gente sofisticata... ma non da tutta". Questo perché la mimosa è mimetica della "storia delle donne dal punto di vista dell'equiparazione dei diritti". In questo è ancora attuale. E questo mi rende triste, perché se è ancora tanto attuale, e non è solo un gesto di gentilezza, vuol dire che esiste una ideologia radicata che nella donna vede qualcosa di 'eccentrico', di 'eccezionale', da esaltare in giorni come l'8 marzo, quasi a pulizia della coscienza sociale per i restanti 364 giorni dell'anno. Almeno, io la 'credo' così. Per altri spunti, bé, rimando alla Giornata internazionale della donna.

Donne. Uomini. Politiche e politici. Già, perché SpotPolitik, di Giovanna Cosenza, grande donna, accademica e blogger (qui un assaggio del capitolo 5), iniziato ieri e quasi finito oggi, si rileva un lavoro lucido, a tratti piacevolmente ludico, sicuramente istruttivo sul ruolo della comunicazione in politica, come si evince dal titolo, e della comunicazione di genere, in politica e non.
Da un paio di anni (o forse più, non ricordo) seguo (per lo più in modalità passiva o stand-by, causa lavoro et alias) il blog DIS.AMB.IGUANDO della Professoressa Cosenza, e ci trovo quasi sempre logica, profondità, analisi, il tutto mai distinto dal buon senso
La Professoressa Cosenza, in particolare, oltre alla comunicazione politica, è estremamente attenta a quella di genere (tanto per farla semplice: come la nostra società rappresenta il maschio e la femmina; per un esempio, fai clic qui e poi naviga nel blog, non resterai delusa/o!), nelle diverse forme, commerciali, istituzionali, politiche e non in cui si esprime. Non a caso, prima della giornata mondiale delle donne, ha postato questo link. Il 'prima' non è accessorio. Proprio qui sta il senso dell'azione documentale, espressiva, propositiva, concentrata sulla consapevolezza che il mondo sociale è diviso tendenzialmente a metà (M/F), ma in proporzioni, direbbe un'estetica o un'etica, non del tutto... proporzionate! 'Prima', perché "sarebbe bello che per questo Ottomarzo le cose andassero un po’ diversamente. [...] Che per una volta non toccasse alle donne elencare di tutti i guai causati a questo Paese da un’irriducibile «questione maschile»: il monopolio, come lo chiama Chiara Saraceno, dei posti di potere, l’applicazione di cospicue quote non scritte (tra l’85 e il 100%) a favore degli uomini".
Già, sarebbe bello. E, in effetti, molte aree della rete hanno seguito il tema della 'donna' in società. Peccato, dico io, con le solite modalità (pesco a caso da blog scientifici e dalle testate dei quotidiani italiani): elogio delle donne "scienziate e rivoluzionarie"; elogio della donna "madre e lavoratrice"; elogio presidenziale delle donne "per la crescita"; industriale per le donne "manager"; ricordo ed elogio delle "amiche donne invisibili" e via elogiando.
Secondo me, non ci siamo. Ma quale elogio per questo e per quello?!?! Elogio e basta! Cioè presa d'atto che le donne, con le differenze che questo Cosmo ha dato ai generi dell'Umanità, sono donne, cioè cittadine, cioè, a prescindere dal ruolo investito temporalmente, tanto brave o non brave quanto gli uomini, cittadini anch'essi. Non le 'donne... tututu... in cerca di guai, donne al telefono che non suona mai...' e roba simile, come mille canzoni ci hanno propinato da mezzo secolo e forse anche prima, scusate se non ricordo. Le donne. Punto. Quelle con cui ci accompagniamo ogni giorno e che ci accompagnano ogni giorno. E finisco qui, perché se no, dato il mio habitat culturale, potrei finire per dire le cose che voglio negare, in un eterno paradosso che vuole affermare la normalità dei generi e che, affermandolo, la nega. Donne e uomini, insieme tutte/i: ma vogliamo sottrarci al passato e vivere un giusto futuro?

mercoledì 7 marzo 2012

SOLE, SALUTE E SPOTPOLITIK

Oggi non piove. Un bel sole nel cielo sopra Torino. Esco, e per arrivare a casa ci metto pochi minuti. Alla radio sento la seguente notizia, che riporto qui: "Salute: obeso o fumatore? Niente cure, decisione shock in Gb". In pratica, pare, il NHS, tipo il nosto SSN, pare abbia deciso di ridurre alcune cure alle persone dai comportamenti poco virtuosi, almeno dal punto di vista della salute. Fumi, bevi, mangi schifezze? Bene, ti neghiamo la gratuità di alcuni interventi. La commentatrice alla radio era scioccata: disgustoso, incomprensibile, blasfemo (?), irritante, soprattutto perché si tratta di un tema legato al risparmio pubblico. 
Ora, non che la decisione della NHS sia esente da critiche, giacché discriminare tra un comportamento consapevolmente distruttivo ed uno patologico o sociale (ammesso che vi sia qualche differenza) è difficile, così come l'azione preventiva ai comportamenti non salutari è essenziale, non tacendo poi che il governo inglese, al pari di altri, promuove la distribuzione di sigarette, alcol, cibi McDonald's e via elencando. Eppure, ne sono convinto, è un caso di vera e propria decisione "etica" di una amministrazione semi-pubblica. Qui si parla proprio della dimensione comportamentale, etica, per l'appunto, di un fenomeno, quello del non tutelare la propria salute, che impatta socialmente ed economicamente su tutti i cittadini
In fondo perché io, che cerco di seguire un minimo di buon senso nel gestire il mio corpo, devo pagare di più un ticket sanitario per coprire il costo delle analisi e delle cure di chi si fuma 3 pacchetti al giorno? O di chi si beve una bottiglia di gin una sera e l'altra pure? Non mi sembra di mancare di solidarietà sociale se penso che non sia corretto che io paghi per chi si fa del male. Semmai, invece che nel pagare, la mia solidarietà sociale sta nel cercare di convincere l'amico/a a lasciare perdere cattive abitudini o a chiedere aiuto qualora necessario. Semmai posso sostenere la scuola -di ogni grado- o fondazioni o associazioni che intervengano per evitare il disastro. Che colpisce non solo il fumatore, l'ubriaco o l'obeso, ma anche la propria famiglia, che probabilmente condivide situazioni di tensione e di disagio
Perché lasciare fumare sine dolo i fumatori? Va bene che i monopoli di Stato ci guadagnano. Credo meno di quanto non ci perdano dal lato della cura, tanto quanto la società (e la famiglia stessa) dal lato del benessere. Peraltro, ad essere anche un poco cinici, se puoi fumare o bere tanto, allora puoi anche pagarti le cure. O magari avere un'incisione fiscale maggiore rispetto a chi non adotta comportamenti in largo modo 'distruttivi'. Le facciamo pagare care queste sigarette? E gli alcolici? E magari i panini del McDonald's? Capisco che alcol, fumo e panini siano spesso il rifugio dei poveri. Ma più che altro, specie per alcol e fumo, sono il piacevole (?) rifugio per i poveri di spirito. 
Quindi, ribadisco, io ritengo etica la decisione della NHS. Che, peraltro, proprio sul suo sito internet, ricco e ben fatto (almeno per chi internet ce la ha), titola "NHS choices - Your Health, Your Choices". 


Spenta la radio, salito in casa, ecco un piacere per me intenso... mi apro il mio bel scatolone con cinque kilogrammi di libri ben impacchettati. Roba filosofica. Roba buona, che mi tenta. C'è anche la semiologia. Mi gusta.
Inizio a sfogliare un testo recentissimo, 'fresco di stampa', direi, e cioè "SpotPolitik. Perché la "casta" non sa comunicare", di Giovanna Cosenza
Mi piace il tono dell'introduzione, che un po' riconosco, essendo quello che scivola tra i post del blog della nostra aca-blogger (DIS.AMB.IGUANDO). E' il tono deciso di chi intende scagliarsi contro "quell'idea di comunicazione come estetica superficiale contro cui [l'autrice] si è già espressa". Peraltro una comunicazione, in uso commerciale e, a mezzo di ingenuo traslato, anche politica, che ti va bene se funziona una volta. Perché a ripeterla, sicuramente, ti freghi da solo. 
La SpotPolitik, quella "politica che imita il peggio di ciò che fanno certe aziende italiane con la pubblicità", "ha radici profonde nella cultura  e nella mentalità dominanti nel nostro paese, cioè esprime gusti, desideri e bisogni di un'ampia fascia di italiani". Il che la rende un virus piuttosto resistente, tanto più in un Paese dagli anticorpi lillipuziani. Ecco allora che non serve lamentarsene, quanto studiarla e capirla, possibilmente per non ripeterla. Perché sarà anche vero che il governo Monti ha prodotto una interruzione nel flusso del delirante political-slang che "più basso di così c'è solo da scavare" (Daniele Silvestri), ma non è detto che questo iato si riveli ben presto solo il break tra un primo e un secondo tempo di una unica, lunga, noiosa partita. Con le curve oscillanti tra un "Forza Italia!" e un "Salviamo l'Italia!". Bipartisan, per usare un termine incluso nella SpotPolitik.   
Potrebbe essere utile, con una oculata attenzione al nostro contesto, una bella iniezione di speech(ghost)writing fresco e ragionato (non stagionato, di quello no, grazie, ne abbiamo abbastanza), alla Jon Favreau e per candidati del color che si voglia (in tutti i sensi, letterale, storico, massi'... anche politico ;-), ma con quella capacità "di uscire da se stessi per mettersi nei panni degli altri" che è il sine qua non per comunicare (bene) qualcosa a qualcuno. Magari ai potenziali elettori, perché no?
Insomma, impulso vivo e solido questo attacco del testo della aca-blogger Professoressa Giovanna Cosenza. E con un inizio così... non c'è che di ben continuare! 

martedì 6 marzo 2012

PIOGGIA SU TORINO

Oggi piove. Come sempre, dentro di noi, avrei detto una volta. No, stasera dico solo che piove su Torino e Torino accoglie la pioggia rallentando il suo tremolio quotidiano. Esco e per arrivare a casa ci metto mezz'ora buona, per una manciata di kilometri. La pioggia rallenta. La pioggia riflette in ogni sua goccia un pezzetto di città.
Arrivo a casa. Anzi, non è esattamente 'casa'. E' un alloggio dove risiedo, un posto che pago per starci. Non è la mia casa. La mia casa ha da venire. Se verrà. Una casa sai che è una casa quando non ti ci senti solo. Per ora, il mio, è solo un alloggio. In una Torino piovosa.
Arrivo e mi preparo la consueta cena. Riso con olio extra-vergine di oliva. Mi piace. Ormai è la mia cena da alcuni anni, salvo variazioni dell'ultim'ora. Il riso si incorpora bene. E' un cibo pacifico. 
Stasera lo annaffio con un felice Arneis, 2010, della Az. Agricola Ca' di Caire', di Emanule Rolfo. 
Ho conosciuto Emanuele Rolfo tramite una collega ed amica, che presto conseguirà la laurea magistrale. Grande donna. Un po' troppo pratica ma, senza dubbio, intelligente  e viva.
Leggo ora sulla bottiglia di Arneis: 
' "T ses propi n'Arneis" si dice nel Roero di una persona originale e un po' discola, ma di animo buono, onesto e sincero, come questo vino, figlio del territorio, simbolo in tutto il mondo di queste nobili e preziose terre. Ottimo come aperitivo, si sposa bene con antipasti, primi e risotti, piatti di pesce ed in generale portate dai sapori e dai profumi delicati'.
Bé, stasera si è accompagnato ad un semplice risotto, semplice sapore dell'olio di oliva extra-vergine, semplice piatto, per me gustoso.
E adesso, una mela per chiudere la cena, scorro le pagine di una antologia che parla di ontologia. Di ciò che è. Al di là di ciò che si dice rispetto a ciò che è. Perché sennò sarei già nel regno della epistemologia, dove non ho voglia di girovagare stasera. E' bello girovagare tra i testi. Trovi tante voci, tante persone. Ognuno con la loro storia.
Anche io ho la mia storia, quotidiana, ricca di pregiudizi, piena di vere o false attese. Eppure "così è la vita", come ricorda Antonello Venditti in una bella canzone di non troppo tempo fa.
E non è mai finita.

mercoledì 15 febbraio 2012

ODISSEA 1.20

Odisseo“Prudente Nestore, intenso orrore provai giungendo nelle terre di Antifate, sovrano dei Lestrigoni, mangiatori di uomini! Solo grazie alla Prudenza ne uscii vivo... Ma come può un uomo mangiare un suo simile? Quale pulsione spinge a tale atrocità?”.
Nestore: “O amico dall'agile mente, gli uomini sono animali, e anche la conoscenza spesso non riesce  a trasformarli in Uomini. Gli dei guardano indifferenti questo scempio, perché esso è insito nell'uomo e solo grande saggezza ed equilibrio possono, e non sempre!, dare all'Uomo anima e non soltanto animalità”.

Così si dice abbia detto l'Uomo

lunedì 13 febbraio 2012

ODISSEA 1.19

Odisseo“Uomo ambiguo fu Teseo, padre di Acamante, mio compagno nella guerra contro Ilio. Fu un grande Eroe, fondatore degli Ioni, e divenne leggenda uccidendo il Minotauro. Eppure si rivelò un uomo leggero e stolto che provocò la morte del padre Egeo, per una inammissibile dimenticanza, una promessa mancata, che è segno di mediocrità. O saggio Nestore, qual è la tua opinione su questo personaggio?”.
Nestore: “Astuto Odisseo, nell’animo di ognuno di noi dialogano una parte nobile e virtuosa ed una viziosa e ignobile. I grandi Uomini riescono quasi sempre a vivere in sintonia con la prima, ma i più giacciono compiaciuti con la seconda. Del resto, o nobile Re di Itaca, pensa allo stesso Icaro, figlio del geniale Dedalo, costruttore del labirinto donde uscì Teseo vittorioso: tanto ingegnoso e moderato fu il padre nel costruire le ali di cera con cui egli ed il figlio uscirono dal labirinto, quanto fu stolto ed ebbro dell’invenzione il figlio, che pagò la sua leggerezza con la morte. In noi si alternano luce ed ombra, ed incerto è il nostro sentiero”.

Così si dice abbia detto l'Uomo

domenica 12 febbraio 2012

ODISSEA 1.18

Odisseo: "O saggio Nestore, quanta gioia, al mio ritorno, io celato sotto altre vesti, mi diede il divino porcaro Eumeo, figlio del re Ctesio Ormenìde, allevato nella mia casa come servo, ma in tutta verità considerato Uomo giusto e nobile, fedele difensore delle mie proprietà e custode delle Virtù che i pretendenti stavano violando, immondando la mia Casa della loro presenza. Fiero di lui sono stato e sarò per sempre: ora siede con me a tavola, nuovo virtuoso Figlio!".
Nestore: "Caro giovane amico, come vedi la Virtù sceglie l'Uomo giusto, sia egli servo o uomo libero. E l'Uomo giusto, sia egli servo o uomo libero, sceglie la Virtù come compagna e con Essa procede nella vita. La scelta ha reso il divino Eumeo libero, perché scegliere è ciò che differenzia la bestia dagli uomini. Ecco perché, o astuto Odisseo, nella tua Casa trovasti Melanzio, tracotante e viscido servo, che morì da infame, e al contempo Eumeo, fedele e modesto, che giungerà alle soglie dell'Ade da Uomo libero e circondato da Onore".

Così si dice abbia detto l'Uomo

sabato 11 febbraio 2012

ODISSEA 1.17

Odisseo: "Caro amico, ricordi ancora il giorno in cui mio figlio, l'animoso Telemaco, giunse a Pilo, chiedendo di me, e tu lo accogliesti con onore ed ospitalità? Che cosa vedesti negli occhi intrepidi di mio figlio?".
Nestore: "O Odisseo, determinazione e coraggio, temperanza e xenia, vidi in quel giovane, illuminato da Atena, che a me giunse per avere notizie sul grande Distruttore di Rocche, non mosso da un vano pianto per il padre disperso, ma pronto a ritrovarlo per lottare insieme a lui contro gli usurpatori del Trono di Itaca. Io lo accolsi con calore e, intrattenendomi con lui, gli narrai della guerra passata e del ritorno in patria, e della Gloria che l'Astuto Odisseo si era guadagnato tra gli Achei. Infine, non potendo soddisfare la sua richiesta, lo inviai insieme a mio figlio Pisistrato da Menelao, di cui seppi che, dopo avere vagato sette anni, concluse felicemente il suo viaggio con il rientro a Sparta".

Così si dice abbia detto l'Uomo

venerdì 10 febbraio 2012

ODISSEA 1.16

Odisseo: "Il vile Paride fu causa della morte di due grandi eroi come il fratello Ettore domatore di cavalli e il Pelìde Achille e cagione di una guerra durata dieci anni e portatrice di grande lutto! Perché i piccoli uomini talvolta producano sì grandi conseguenze, o saggio Nestore, mi è oscuro".
Nestore: "O Laerziade, anche gli uomini pavidi sono imbrigliati nelle maglie del Fato, che ora ampliano a dismisura ora riducono al nulla l'azione tanto degli Eroi quanto dei vili e dei profittatori. Nondimeno, Paride fu causa di gloria per gli Achei luminosi, non solo di morte e inganno. Atena e Dike tessono la tela insieme con Fato".

Così si dice abbia detto l'Uomo

giovedì 9 febbraio 2012

ODISSEA 1.15

Odisseo: "O prudente Nestore, molte volte sono stato tacciato di hýbris e in parte percepisco vera questa accusa, in ragione della quale, i posteri, forse mi ricorderanno. Eppure essa è in me, io sono parte di Lei, io la sento mia. E forse peggior qualità non esiste nell'Uomo".
Nestore: "La mia opinione, o distruttore di rocche, è che l'Hýbris non sia in sé una cattiva qualità, almeno non tanto quanto la si ritenga tale tra i timorosi figli degli Achei. L'uomo forte e coraggioso credo debba intingere il suo agire nell'hýbris, laddove una mancanza di questa si riveli un freno divino alla conoscenza e all'eccezionalità delle imprese degli Uomini degni, sulle Terre e sui Mari. Costoro non devono temere Némesis. Piuttosto l'uomo mediocre, che nella superbia e nella tracotanza tenta di fondare, senza utilità, per puro piacere, la forza del proprio agire, deve temere l'ira divina, perché si è voluto figurare qual dio tra Uomini virtuosi, laddove è solo un'ombra ingannevole destinata ad aleggiare nei Tempi, inquieta erede della punizione divina".

Così si dice abbia detto l'Uomo