domenica 27 marzo 2011

UN VIANDANTE DELLA COMPLESSITA'

More about Un viandante della complessitàDopo lunga ricerca, finalmente ho in mano una delle 1000 copie (precisamente la n. 876) della lectio magistralis tenuta da Edgar Morin nell'Aula Magna dell'Università di Messina il 5 marzo 2002 in occasione del conferimento della laurea honoris causa in filosofia e le laudationes pronunziate da Girolamo Cotroneo e Giuseppe Gembillo. Il lavoro è arricchito dalla documentazione fotografica dell'avvenimento.
Andiamo con ordine. La premessa di Annamaria Anselmo racconta, in sintesi, la vicenda in cui è nato il libretto (sono 60 pagine) "Un viandante della complessità. Morin filofoso a Messina", indicando come l'opera sia costituita di tre parti: le laudationes di Girolamo Cotroneo e Giuseppe Gembillo, cui segue la lezione "La mia via alla concezione della complessità" di Edgar Morin.
Le tre sezioni si integrano alla perfezione.

Nella prima, Per Edgar Morin, di Girolamo Cotroneo, il docente illustra come la via che Morin ha seguito per giungere all'idea di complessità non sia stata lineare, quanto un continuo superamento di logiche ed ideologie (tra cui quella politica comunista che lo stesso Morin ricorda nella sua lezione) che incrostavano il raggiungimento di un pensare composto, in grado di rendere conto, attraverso un metodo ("Il Metodo" è, nei suoi sei volumi, una risposta alle 40 pagine de "Il discorso sul Metodo" di Cartesio) che riducesse i riduzionisimi a modalità di conoscenza parziale, reintroducendo, al contrario, il 'vecchissimo sentimento' del filosofo Morin "della relatività della verità e dell'errore e [...] della complementarità delle posizioni contraddittorie".
Si abbandonano le filosofie 'totalitarie', in nome di una visione in cui si alternano "isolotti di certezza e zone di incertezza": il metodo consente di navigare in siffatto ambiente e costruire una strategia del pensiero e dell'azione. La vita di Morin, introduce Cotroneo, è il diverticolato transitare di disciplina in disciplina per giungere al superamento della certezza intesa quale assoluto della conoscenza, non per approdare al relativismo ed alla sua deriva nichilistica, ma per irrobustire la strategia di conoscenza complessa che avanza per approssimazione ed emersione, considerando il sistema e non solo la parte, rielaborando la filosofia come pensiero del legame, e non della scissione ideo-logica, reinterpretando l'uomo non solo come 'sapiens', ma anche come 'demens'.

La seconda sezione è fondamentale: Giuseppe Gembillo, nel suo intervento La filosofia di Edgar Morin, rende una sintesi eccellente del pensiero del filosofo francese, tracciando un quadro della sua filosofia che si fonda su una utilizzazione estesa ed acuta dei testi scritti dallo stesso Morin. Sintesi, dicevo, e non riassunto, perché lo stesso autore esprime chiaramente come riassumere l'opera di un filosofo prolifico e multi-disciplinare quale Morin sarebbe impresa ardua. Ma sintesi di due elementi essenziali a comprendere i punti forti della filosofia moriniana: la ridefinizione di Soggetto ed Oggetto della conoscenza e la ridefinizone del loro rapporto, da un lato; la complessità come Sfida, dall'altro.
Alla ridefinizione di Soggetto conoscente, Morin è giunto attraverso una profonda auto-critica e a un ripensamento del collocamento dell'uomo nell'ambiente. Il percorso del filosofo è lungo. Qui basti ricordare, con le parole di Gembillo, che Morin "ha nello stesso tempo storicizzato e complessificato il Soggetto conoscente, radicandolo fermamente all'interno di un contesto e di un processo, nel quale è, contemporaneamente, produttore e prodotto, creatore e creato, in un rapporto interattivo il cui vero senso risiede nella reciproca relazione tra le parti in causa".
Analogo discorso riguardo all'Oggetto: esso non è l'elemento "semplice, immodificabile, misurabile quantitativamente e formalizzabile in maniera perfetta" come nella scienza classica. L'Oggetto è "evento storico e complesso", una sorta di oggetto-evento alla Prigogine, un sistema aperto che scambia continuamente energia con l'esterno e che, nel farlo, riesce a mantenere il proprio ordine interno al limite del caos. Vive in equilibrio quasi-stabile tra ordine e caos.
Ecco allora che, tentando di individuare un nesso tra Soggetto e Oggetto, come sopra sommariamente definiti, l'unica via è quella della relazione sistemica: un approccio, cioé, che si fonda sull'idea di 'transazione', con cui si intende che la conoscenza si attua solo se Soggetto e Oggetto non si elidono nell'atto del conoscere, come previsto dalla scienza classica, ma si compongono a sistema in termini contestuali e storici. Vuol dire, continuando, che non solo il soggetto verifica le proprie osservazioni, ma integra in esse la propria auto-osservazione, onde non cadere nell'errore della scienza classica che, estrudendo il soggetto nella metafisica del conoscere, con esso gettava l'aspetto 'fisico' e storico che ne influenza la conoscenza. Del resto, il soggetto interviene sempre, con tutto il proprio apparato metodologico-storico-sociale, nella definizione del sistema e, conseguentemente, nella selezione delle sue proprietà osservabili.
La Complessità nell'ordine delle cose cui si perviene non apre la via all'inconoscibile: tutt'altro! Richiede la rifondazione del pensiero e procedere scientifico, oggettivante e totalizzante, la costruzione di una "Scienza Nuova" dotata di un Metodo che possa "articolare ciò che è separato e collegare ciò che è disgiunto" (da Il Metodo, I, p.11). In un'ottica integrale e integrante: la scienza nuova non può e non deve cancellare i processi conoscitivi ereditati dalle epistemologie precedenti. Non bisogna cancellare il metodo tradizionale, perché "il pensiero complesso non rifiuta affatto la chiarezza, l'ordine, il determinismo. Sa semplicemente che sono insufficienti, sa che non si può programmare la scoperta, la conoscenza, né l'azione" (da Introduzione al pensiero complesso, p. 83). In questo senso la Complessità è una sfida: è una sfida ai concetti fondanti la scienza classica, al fine di spingersi oltre, integrandola e riformandola attraverso un metodo che è anche impegno toeretico, etico e pedagogico-formativo, come Edgar Morin ha sempre sottolineato nelle sue opere.

Infine, ecco la Lectio vera e propria. Il titolo è essenziale: "La mia via alla concezione della complessità": nella lezione, Morin ci racconta il cammino che ha fatto per arrivare alla concezione della complessità e del pensiero complesso. Si rivela un cammino tanto auto-biografico, quanto intellettuale incrocio con biografie altrui. E' un cammino anche di una personalità particolare, non conformista, per l'epoca: "io mi sono iscritto all'Università non per prepararmi a un mestiere, ma per soddisfare una curiosità; una curiosità generalizzata sulle questioni umane". Questo rende, almento per me, affascinante il percorso umano e filosofico di Morin. "Che cos'è l'umano, la vita umana, la società umana, il destino umano; e queste domande mi hanno fatto interessare a diverse scienze" (corsivo mio); qui sta il punto di svolta: "diverse" scienze. Per tentare la sfida all'umano, le scienze umanistiche non bastano. Occorre sapere quanto più possibile sulle intime connessioni tra gli elementi naturali. Occorre una prospettiva multi-disciplinare ed integrale: complessa, diremmo oggi. Tornando a Morin, ci racconta di quanto da lui seguito all'Università e di tre lezioni che ne ha tratto e che, nella sua Lectio, chiama: "ironia della storia", "storicizzare lo storico stesso" e "il doppio gioco della storia". Non tolgo il piacere al lettore di scoprire che cosa intenda con queste tre dizioni. Appunto solo che, come è evidente dalle designazioni, la storia non è mai neutra nella via alla complessità. Come non sono neutri altri due temi che ci ricorda Morin: la contraddizione e la morte. Sulla scia di questi, attraverso dubbio metodico, il pensiero si prepara al complesso. E inizia a raccontarsi in libri e opere che, al 2002, data della Lectio, costituiscono un'opera immensa. Un'opera che si è costruita sull'auto-critica, già citata. Morin cerca di scoprire il perché della propria entusiasta adesione al Comunismo e il perché dell'altrettanto intenso allontanamento. Solo introducendo il soggetto conoscente nell'interazione con l'oggetto e le vicende da conoscere, può emergere una soluzione complessa al problema di conoscenza. Morin ha lavorato molto sul suo "io storico", per comprendere oggetti storici. E per attivare quelli che il filosofo chiama "i miei quattro demoni antagonisti-complementari: il dubbio, la fede, la razionalità e la religione", demoni pro-vocatori, nella loro dialettica, di conoscenza. Che nasce dal conflitto. Che si muove tra le isole di certezza e gli arcipelaghi di incertezza. Che ci apre al cammino, ad una situazione in cui la stasi non conosce, in cui muoversi è moto essenziale, anche etico. Perché "Caminante non hay camino, El camino se hace en andar" o, in italiano, "Viandante, non c'è cammino, il cammino nasce nell'andare".

Rimandi ad altre recensioni a testi di Morin, principalmente sotto il profilo educativo e pedagofico, che ho terminato di leggere:


"Oltre l'abisso"
"La testa ben fatta"
"Educare gli educatori"
"Il gioco della verità e dell'errore" e "Educare per l'età planetaria"
"Le vie della complessità", in La sfida della complessità

sabato 19 marzo 2011

LA STRATEGIA DEL CYBORG

More about Le strategie del Cyborg
Una recensione che non può che essere intersezione continua con il testo-matrice "La strategia del cyborg", generante...un dialogo cyborg!


Le 95 tesi di Lutero affisse sul portone della Chiesa di Wittenberg, il 31 ottobre 1517; o le 95, raccolte nell'aprile del 1999 da Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls e David Weinberger, nel "Cluetrain Manifesto"; o i paragrafi-pagina dal 150 al 181 de "A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century", di Donna Haraway; o...


C'è qualcosa in comune tra "La strategia del Cyborg" di Thierry Crouzet e quanto sopra citato? C'è qualcosa di nuovo ed in-novativo? O, piuttosto, c'è qualcosa di diverso?


C'è tutto, di tutto questo. Siamo di fronte a un Manifesto scritto per molte persone (questo, ciò che è 'in comune'); un manifesto aperto, riprocessato e integrato nella sua prima forma scritta e integrabile ogni qual volta letto (questo, ciò che è 'in-novativo'); c'è la necessità della definizione sfumata quanto a distinzione ed estensione ("Il cyborg non è né umano né macchina [...] confonde i confini tra i generi") ed estratta non solo più per paragone (questo, ciò che è 'diverso').


Detto ciò, si instanzia una voce narrante: "1 Io sono un cyborg". Non è una voce narrante ego-centrica. Perché sin dalla propria imposizione, si relaziona e si scioglie nel dialogo con stimolatori testuali: Guillaud, Crouzet, Jag e altri...
Crouzet non è lo scrittore del libro: è una tra le voci che lo scrivono. Non a caso si dichiara 'cyborg': nello scrivere il libro, si sta estendendo, sta trascendendo il proprio io narrante e naturale in una multi-forma, simbiotica e dialogante, che è il  nocciolo stesso dell'essere cyborg
E' il cyborg a scrivere la propria strategia, il proprio Manifesto. Gli uomini quali Crouzet, Guillaud, Jag e gli altri stimolatori, inclusi noi stessi!che incrociamo in nota aiutano il cyborg ad esser-ci ed essi stessi a diventare, mutare, reinventare la loro presenza: stati di umanità aumentata (dalla radice "AUG", allargamento sanscrito di "UG-UK", abbreviazione della fondante "UAG-UAK": crescere, divenire forte, attraverso lo spingere, lo svegliarsi, il 
germogliare...). Del resto, "l’uomo aumentato aumenta le macchine che quindi aumentano l’uomo". Crescere insieme. Germogliare.


Germogliando, il cyborg entra in interazione simbiotica con il proprio ambiente. Il cyborg non esiste come monade. Il cyborg è relazione. Vive nella relazione. Si estende con essa e sfrutta la connessione quale via principale per evolvere e (in-)formarsi. Il cyborg non prescinde dall'umano, ma l'umano non è l'unica fonte di stimolo per il cyborg. L'umano, del resto, si fa cyborg ogniqualvolta estende i propri sensi o i meccanismi adattativi attraverso le protesi più diverse, da quelle meccaniche (occhiali) a quelle elettroniche (reti di computer) a quelle bio-fisiologiche (aggregati chimici e sostanze neuroattive). Queste protesi, tuttavia, esprimono spesso solo l'archetipa e arcaica rappresentazione culturale del cyborg ("I film e i libri di fantascienza hanno dato al cyborg una connotazione spaventosa. Ma l’umanità non si sta già facendo paura da sola? Serve un’immagine inquietante per stimolarci meravigliosamente"). 


Il cyborg è normale: interagisce con le norme e si auto-norma e auto-organizza. Non da solo. In società. Il cyborg è una entità sociale. L'umanità è nata cyborg
In questo momento storico ne sta prendendo maggiore consapevolezza. "Il cacciatore fa del cane un cyborg. La cyborghizzazione è riflessiva": questa riflessività è segno dei tempi. Da sempre l'uomo si è sentito in interazione con l'ambiente e in relazione asimmetrica con altri esseri od oggetti. Ora, qui sta il punto, si sta ri-organizzando. Riflettendo sul proprio essere aumentato, innesca un feed-back positivo per velocizzare l'accrescimento. E prende coscienza che ciò è possibile solo integrandosi sempre di più, diffondendosi e pseudo-speciandosi con l'ausilio degli organismi cibernetici. Se tale è la scelta, il destino è cyborg. Ecco la 'generalizzazione': "La strategia del cyborg consiste nell’unirsi all'altro da sé per accrescere se stesso. Un cyborg non può che essere sociale. Occupa lo snodo di una rete relazionale che unisce esseri viventi ad artefatti".


Il cyborg non può aumentar-si in sé, per sé e da sé. Per superar-si deve superare se stesso: come, se non interagendo con altri cyborg o altre matrici? Il cyborg è parassitario, ma è un parassita diverso: "non assorbe gli stimolatori con cui interagisce. Costruisce con loro". L'assorbimento è perdita dell'identità. Il cyborg percepisce se stesso come distinto dall'ambiente con cui è in simbiosi. Il cyborg è un "io". In ciò, il cyborg "non è né individualista, né collettivista". Il cyborg (si) in-nova. E' in grado di modificare i propri cablaggi neurali in base all'esperienza e a nuova conoscenza. Il cyborg è cerebrale: "Il cervello non smette di evolversi con l’età adulta". D'altra parte il cyborg è iper-sensoriale, data la mole immensa di sensori e connettori con il mondo interno ed esterno: il cyborg non è psicotico, è empatico e, grazie alle potenzialità di collegamento interpersonale sempre più avanzate, "l’empatia si estende d’ora in avanti all’umanità, alle altre creature e alla biosfera tutte insieme".


Il cyborg è intensificazione dell'umano: usare intensamente le nuove tecnologie, robotizzarsi, è parte della strategia del cyborg. E quindi dell'essere umano. Sotto questa luce, le opere del cyborg sono quanto mai con-divise, ma non sempre di massa: questo perché il cyborg opera supportato dai propri stimolatori e alla ricerca di sempre nuovi stimolatori. In questo rapporto con gli stimolatori prevale l'intimità della connessione, dalla quale si plasma l'opera, che resta sempre aperta, come in passato, ma in maniera più trasparente (le tracce della manipolazione creativa restano nella creazione). L'opera del cyborg è cristallina e sfaccettata. E', come detto, 'aperta', ma "l’apertura immediata e radicale è pericolosa. Troppe critiche che irrompono su un lavoro in gestazione lo soffocano. Ogni creazione deve avere il tempo di dispiegare le proprie ali. Ogni apertura deve essere progressiva al fine di evitare l’overdose reticolare. Troppa apertura uccide la creazione": provate a mettere ordine tra le vostre idee in un blog noto e costantemente aperto ai commenti e il filo della creazione cyborg si perderà per iper-stimolazione. L'iper-stimolazione può essere utile al cyborg, ma a dosi meditate e progressive.


Vogliamo essere cyborg, o meglio, visto che già lo siamo, vogliamo qualche consiglio sulla strategia per "migliorar-ci cyborg"?
Qualche cattiva abitudine per chi pratica la strategia del cyborg, il cyborg-Crouzet ce la fornisce: "Partire soli su un'isola deserta senza mezzi di comunicazione per realizzare una grande idea. Non rispondere alla mail di uno sconosciuto. Rifiutare gli inviti a sorpresa. Fidarsi solamente degli amici. Diffidare dei dilettanti."
E anche qualche abitudine buona: "Partire soli per la montagna o altrove, lontani dal tumulto, per avere delle buone idee. Scrivere a chi ci emoziona, che sia famoso o meno. Cercare di incontrare le persone che ci fanno riflettere. Accettare l’imprevisto. Non categorizzare in funzione di un pedigree."


Il cyborg legge. E la sua lettura è bi-attiva: il "cyborg, emette e riceve allo stesso tempo": come non citare la possibilità dell'estensore e-reader, che consente di condividere note, citazioni, riferimenti bibliografici, tanto in entrata quanto in uscita? Il cyborg apprezza l'e-book quale forma discorsiva e di apprendimento.


Quanto ai dualismi "Casa/lavoro. Personale/professionale. Privato/pubblico. Creatore/recettore. Maschio/femmina" il cyborg li integra tutti nel flusso della  creazione continua, resa iper-attiva dalle proprie protesi: "Non si può essere cyborg lasciando da parte un pezzo di sé". Come gli occhiali. O le scarpe. O un i-Phone.


Alla fine di questo discorso, il lettore cyborg potrà essere stimolato nel senso della perdita della qualità materialmente e fisicamente umana che sembra presente nel processo di "cyberghizzazione". Ecco uno stimolo contrario: il cyborg non vive attaccato alle macchine. Sfrutta le proprie protesi. Ma vive nel mondo umano: "L’esistenza dei cyborg non è priva di materialità. L’attività fisica contribuisce all’attività cerebrale. Senza presenza nel mondo, non c’è estensione possibile verso gli altri". 


Senza l'altro, io cyborg non esisto: ho bisogno di voi.


Alcune note utili sul testo di Crouzet:


# Madre-matrice:
Thierry Crouzet (Crouzet) (http://tcrouzet.com/)


# Stimolatori:
Hubert Guillaud (Guillaud)
Jeanne Argall (Jag)
Sam Dixneuf (Sam)
Nicolas Ancion (Ancion)
Jeanlou Bourgeon (JLB)
Isabelle Crouzet (Isabelle)


#Traduzione
Caterina Sarfatti


#Editore 
40K

venerdì 18 marzo 2011

GLI OTTO PECCATI CAPITALI DELLA NOSTRA CIVILTA'

More about Gli otto peccati capitali della nostra civiltàKonrad Lorenz lascia in questo libretto la sintesi che solo un grande Maestro di vita, e che ha studiato e vissuto nei modi più 'alti' la vita, può lasciare. Un colpo da Maestro. Un segnale stradale per tutte le donne e gli uomini che vivono questo passare di Millennio.
Come ho scritto nella mia recensione su aNobii, tante sono le edizioni di questo gioiello dell'umanità, quante le recensioni che lo accolgono in ogni dove. 
Perché è un dire universale.
Un riflettere globale.
Un senso di responsabilità colossale.
E molto altro ancora.


I contenuti? Ecco che cosa racconta il risvolto del libro:


"In questo limpido libretto del 1973, che ha già avuto un successo strepitoso in Germania e lo sta avendo ora in tutto il mondo, Konrad Lorenz, premio Nobel per la medicina, affronta, nella prospettiva della biologia e dell’etologia, alcuni problemi capitali che si pongono al mondo di oggi. Tali problemi, secondo Lorenz, corrispondono ad altrettanti «peccati capitali», che la civiltà occidentale ha accumulato nella sua evoluzione e che minacciano oggi di ucciderla. La sovrappopolazione, la devastazione della terra, l’indottrinamento coatto, le armi nucleari, l’ostilità e l’indifferenza che si annidano nel corpo della società sono tutti anelli di una stessa catena fatale, prodotta da un atteggiamento incurante e rapace verso la vita. Distesamente e acutamente, con l’occhio lucido dello scienziato e insieme con appassionata partecipazione, Lorenz analizza le cause e i meccanismi di questi e altri peccati, la cui gravità è spesso tanto maggiore in quanto non vengono riconosciuti come tali – e le sue pagine daranno una prova convincente di quale aiuto prezioso possano offrire antiche e nuove scienze, come la biologia e l’etologia, nel tentativo di comprendere processi che coinvolgono oggi la vita di tutti".


Da leggere. E tenere nella mente e nel cuore. Imperdibile.

mercoledì 16 marzo 2011

IL PREZZO DEL LINGUAGGIO

More about Il prezzo del linguaggioEcco una recensione (che ho depositato su aNobii) a un testo che è incredibilmente affascinante, pur non essendo di così facile lettura.


Riporta la quarta di copertina: 
"Nella storia dell'evoluzione della specie umana l'avvento del linguaggio ha innescato nell'Homo sapiens una serie di innovazioni rivoluzionarie: la modifica delle sue strutture cerebrali; la nascita del pensiero astratto e, con esso, l'elaborazione di tecnologie, valori, opinioni, credenze; la trasmissione delle informazioni e la loro conservazione nel tempo. Tutto questo, e i comportamenti che ne sono derivati hanno reso l'uomo una specie ecologicamente anomala, una specie in cui il linguaggio ha progressivamente annullato la distanza tra l'evoluzione biologica e l'evoluzione culturale. Muovendo da questi presupposti, gli autori conducono un serrato confronto con le più recenti acquisizioni di tutte le discipline interessate (biologia, ecologia, scienze cognitive, filosofia del linguaggio), per approdare infine a un'ipotesi provocatoria e catastrofica: la sempre più probabile condanna all'estinzione della propria specie è il prezzo culturale che l'uomo paga al linguaggio come prodotto della selezione naturale."


Io ho scritto la mia
Che il linguaggio sia con tutti noi! 
Bisogna solo vedere se :-) oppure :-( !!!

martedì 8 marzo 2011

PIAZZA STATUTO

"Per discutere del futuro dell'Università!"
In un momento importante - e per molti versi difficile - dell'università italiana (e non solo), questo sito si pone l'obiettivo di favorire una discussione aperta e trasparente sull'università del futuro.
Una discussione importante in generale, soprattutto per società come quelle europee che amano definirsi "della conoscenza", ma ancor più in questo momento, a valle dell'approvazione della legge Gelmini e nel pieno delle discussioni dei nuovi Statuti di Ateneo. I tempi stretti previsti dalla legge, infatti, stanno limitando drasticamente e quasi ovunque quella discussione di ampio respiro, quasi costituente, che dovrebbe aver luogo prima di qualsiasi lavoro su specifiche forme di Statuto.
Questo sito vuole dare un contributo - certamente modesto, ma, si spera, tangibile e tempestivo - per favorire un pubblico dibattito su quale università vogliamo per i prossimi vent'anni - prima che le commissioni "statuto" entrino nel vivo dei loro lavori.
La forma scelta per animare "Piazza Statuto" è il saggio breve. L'ispirazione - nulla di più - è fornita dai "Federalist Papers" americani, ovvero, gli 85 saggi che Hamilton, Jay e Madison scrissero su due giornali di New York tra ottobre 1787 and agosto 1788 per discutere pubblicamente della costituzione USA. Rispetto ai Federalist Papers le differenze sono ovviamente innumerevoli, tra cui:
  • chiunque si ritenga un portatore di interesse rispetto all'università può contribuire;
  • l'uso del web invece che dei giornali, con risultante maggiore interattività (per esempio commentando i singoli articoli sul sito);
  • testi più brevi, ovvero, tendenzialmente sotto i 5.000 caratteri.
Per chi desiderasse contribuire, maggiori informazioni sono disponibili nella sezione Come contribuire.
I curatori del sito prendono l'impegno di favorire una discussione la più ampia e inclusiva possibile, senza preclusioni o preferenze di sorta.
Infine, qualche parola su chi promuove questa iniziativa: Juan Carlos De Martin, Carlo Olmo, Mario Calderini e Maurizio Ferraris insegnano rispettivamente al Politecnico e all'Università di Torino (Ferraris). Il loro impegno per "Piazza Statuto" è puramente a titolo personale e volontario, con l'unico obiettivo di favorire un dialogo che si spera possa risultare utile non solo agli Atenei di appartenenza, ma anche alla comunità accademica nazionale e al paese.




sabato 5 marzo 2011

AGENDA DIGITALE - WHITE PAPER



 
Update dal sito www.agendadigitale.org:
"Cosa prevede l’Agenda Digitale Europea e come si colloca nel suo contesto l’iniziativa per un’agenda digitale italiana? Per spiegarlo abbiamo preparato un White Paper" (link a file PDF).

Aderisci all'appello!