Andiamo con ordine. La premessa di Annamaria Anselmo racconta, in sintesi, la vicenda in cui è nato il libretto (sono 60 pagine) "Un viandante della complessità. Morin filofoso a Messina", indicando come l'opera sia costituita di tre parti: le laudationes di Girolamo Cotroneo e Giuseppe Gembillo, cui segue la lezione "La mia via alla concezione della complessità" di Edgar Morin.
Le tre sezioni si integrano alla perfezione.
Nella prima, Per Edgar Morin, di Girolamo Cotroneo, il docente illustra come la via che Morin ha seguito per giungere all'idea di complessità non sia stata lineare, quanto un continuo superamento di logiche ed ideologie (tra cui quella politica comunista che lo stesso Morin ricorda nella sua lezione) che incrostavano il raggiungimento di un pensare composto, in grado di rendere conto, attraverso un metodo ("Il Metodo" è, nei suoi sei volumi, una risposta alle 40 pagine de "Il discorso sul Metodo" di Cartesio) che riducesse i riduzionisimi a modalità di conoscenza parziale, reintroducendo, al contrario, il 'vecchissimo sentimento' del filosofo Morin "della relatività della verità e dell'errore e [...] della complementarità delle posizioni contraddittorie".
Si abbandonano le filosofie 'totalitarie', in nome di una visione in cui si alternano "isolotti di certezza e zone di incertezza": il metodo consente di navigare in siffatto ambiente e costruire una strategia del pensiero e dell'azione. La vita di Morin, introduce Cotroneo, è il diverticolato transitare di disciplina in disciplina per giungere al superamento della certezza intesa quale assoluto della conoscenza, non per approdare al relativismo ed alla sua deriva nichilistica, ma per irrobustire la strategia di conoscenza complessa che avanza per approssimazione ed emersione, considerando il sistema e non solo la parte, rielaborando la filosofia come pensiero del legame, e non della scissione ideo-logica, reinterpretando l'uomo non solo come 'sapiens', ma anche come 'demens'.
La seconda sezione è fondamentale: Giuseppe Gembillo, nel suo intervento La filosofia di Edgar Morin, rende una sintesi eccellente del pensiero del filosofo francese, tracciando un quadro della sua filosofia che si fonda su una utilizzazione estesa ed acuta dei testi scritti dallo stesso Morin. Sintesi, dicevo, e non riassunto, perché lo stesso autore esprime chiaramente come riassumere l'opera di un filosofo prolifico e multi-disciplinare quale Morin sarebbe impresa ardua. Ma sintesi di due elementi essenziali a comprendere i punti forti della filosofia moriniana: la ridefinizione di Soggetto ed Oggetto della conoscenza e la ridefinizone del loro rapporto, da un lato; la complessità come Sfida, dall'altro.
Alla ridefinizione di Soggetto conoscente, Morin è giunto attraverso una profonda auto-critica e a un ripensamento del collocamento dell'uomo nell'ambiente. Il percorso del filosofo è lungo. Qui basti ricordare, con le parole di Gembillo, che Morin "ha nello stesso tempo storicizzato e complessificato il Soggetto conoscente, radicandolo fermamente all'interno di un contesto e di un processo, nel quale è, contemporaneamente, produttore e prodotto, creatore e creato, in un rapporto interattivo il cui vero senso risiede nella reciproca relazione tra le parti in causa".
Analogo discorso riguardo all'Oggetto: esso non è l'elemento "semplice, immodificabile, misurabile quantitativamente e formalizzabile in maniera perfetta" come nella scienza classica. L'Oggetto è "evento storico e complesso", una sorta di oggetto-evento alla Prigogine, un sistema aperto che scambia continuamente energia con l'esterno e che, nel farlo, riesce a mantenere il proprio ordine interno al limite del caos. Vive in equilibrio quasi-stabile tra ordine e caos.
Ecco allora che, tentando di individuare un nesso tra Soggetto e Oggetto, come sopra sommariamente definiti, l'unica via è quella della relazione sistemica: un approccio, cioé, che si fonda sull'idea di 'transazione', con cui si intende che la conoscenza si attua solo se Soggetto e Oggetto non si elidono nell'atto del conoscere, come previsto dalla scienza classica, ma si compongono a sistema in termini contestuali e storici. Vuol dire, continuando, che non solo il soggetto verifica le proprie osservazioni, ma integra in esse la propria auto-osservazione, onde non cadere nell'errore della scienza classica che, estrudendo il soggetto nella metafisica del conoscere, con esso gettava l'aspetto 'fisico' e storico che ne influenza la conoscenza. Del resto, il soggetto interviene sempre, con tutto il proprio apparato metodologico-storico-sociale, nella definizione del sistema e, conseguentemente, nella selezione delle sue proprietà osservabili.
La Complessità nell'ordine delle cose cui si perviene non apre la via all'inconoscibile: tutt'altro! Richiede la rifondazione del pensiero e procedere scientifico, oggettivante e totalizzante, la costruzione di una "Scienza Nuova" dotata di un Metodo che possa "articolare ciò che è separato e collegare ciò che è disgiunto" (da Il Metodo, I, p.11). In un'ottica integrale e integrante: la scienza nuova non può e non deve cancellare i processi conoscitivi ereditati dalle epistemologie precedenti. Non bisogna cancellare il metodo tradizionale, perché "il pensiero complesso non rifiuta affatto la chiarezza, l'ordine, il determinismo. Sa semplicemente che sono insufficienti, sa che non si può programmare la scoperta, la conoscenza, né l'azione" (da Introduzione al pensiero complesso, p. 83). In questo senso la Complessità è una sfida: è una sfida ai concetti fondanti la scienza classica, al fine di spingersi oltre, integrandola e riformandola attraverso un metodo che è anche impegno toeretico, etico e pedagogico-formativo, come Edgar Morin ha sempre sottolineato nelle sue opere.
Infine, ecco la Lectio vera e propria. Il titolo è essenziale: "La mia via alla concezione della complessità": nella lezione, Morin ci racconta il cammino che ha fatto per arrivare alla concezione della complessità e del pensiero complesso. Si rivela un cammino tanto auto-biografico, quanto intellettuale incrocio con biografie altrui. E' un cammino anche di una personalità particolare, non conformista, per l'epoca: "io mi sono iscritto all'Università non per prepararmi a un mestiere, ma per soddisfare una curiosità; una curiosità generalizzata sulle questioni umane". Questo rende, almento per me, affascinante il percorso umano e filosofico di Morin. "Che cos'è l'umano, la vita umana, la società umana, il destino umano; e queste domande mi hanno fatto interessare a diverse scienze" (corsivo mio); qui sta il punto di svolta: "diverse" scienze. Per tentare la sfida all'umano, le scienze umanistiche non bastano. Occorre sapere quanto più possibile sulle intime connessioni tra gli elementi naturali. Occorre una prospettiva multi-disciplinare ed integrale: complessa, diremmo oggi. Tornando a Morin, ci racconta di quanto da lui seguito all'Università e di tre lezioni che ne ha tratto e che, nella sua Lectio, chiama: "ironia della storia", "storicizzare lo storico stesso" e "il doppio gioco della storia". Non tolgo il piacere al lettore di scoprire che cosa intenda con queste tre dizioni. Appunto solo che, come è evidente dalle designazioni, la storia non è mai neutra nella via alla complessità. Come non sono neutri altri due temi che ci ricorda Morin: la contraddizione e la morte. Sulla scia di questi, attraverso dubbio metodico, il pensiero si prepara al complesso. E inizia a raccontarsi in libri e opere che, al 2002, data della Lectio, costituiscono un'opera immensa. Un'opera che si è costruita sull'auto-critica, già citata. Morin cerca di scoprire il perché della propria entusiasta adesione al Comunismo e il perché dell'altrettanto intenso allontanamento. Solo introducendo il soggetto conoscente nell'interazione con l'oggetto e le vicende da conoscere, può emergere una soluzione complessa al problema di conoscenza. Morin ha lavorato molto sul suo "io storico", per comprendere oggetti storici. E per attivare quelli che il filosofo chiama "i miei quattro demoni antagonisti-complementari: il dubbio, la fede, la razionalità e la religione", demoni pro-vocatori, nella loro dialettica, di conoscenza. Che nasce dal conflitto. Che si muove tra le isole di certezza e gli arcipelaghi di incertezza. Che ci apre al cammino, ad una situazione in cui la stasi non conosce, in cui muoversi è moto essenziale, anche etico. Perché "Caminante non hay camino, El camino se hace en andar" o, in italiano, "Viandante, non c'è cammino, il cammino nasce nell'andare".
Rimandi ad altre recensioni a testi di Morin, principalmente sotto il profilo educativo e pedagofico, che ho terminato di leggere:
"Oltre l'abisso"
"La testa ben fatta"
"Educare gli educatori"
"Il gioco della verità e dell'errore" e "Educare per l'età planetaria"
"Le vie della complessità", in La sfida della complessità