venerdì 27 maggio 2011

IL MONDO SENZA DI NOI

More about Il mondo senza di noiIl mondo senza di noi”, di Alan Weisman, è un saggio stupendo ed un racconto coinvolgente. Per taluni aspetti, anche sconvolgente. Leggiamo su Wikipedia Italia: “ll mondo senza di noi” è un libro scritto in forma documentale che esamina cosa accadrebbe all'ambiente naturale e artificiale se l'uomo scomparisse all'improvviso dalla faccia della Terra”. Sì, il succo è questo. Ma il mix che lo costituisce è ricco ed è il frutto di una accurata ricerca dell’autore che, al fine di fornire una realistica descrizione di che cosa potrebbe accadere al nostro Pianeta, qualora, per una qualsiasi causa, noi umani ne fossimo spazzati via, si è cimentato in una impressionante ricerca documentale ed esperienziale che rende ragione della definizione riportata su Wikipedia. Perché dai documenti e dalle relazioni scientifiche sull’ecosistema terrestre, dalle interviste ai ricercatori ed esperti delle discipline più diverse, dallo studio dell’evoluzione e dei cambiamenti che il nostro Pianeta ha subito, dal ruolo che esso ha nel Cosmo, da viaggi ed esplorazioni nelle lande più desolate o in quelle più popolate del globo, insomma, da un lavoro a 360 gradi sulle miriadi di interconnessioni che avvengono ogni istante in Gaia (Lovelock, 1979), ecco, solo da questa tensione e da questo rigore metodologico si è potuto realizzare un saggio-documento tanto illuminante e prezioso.
Solo così ci si rende pienamente conto che, per parlare del futuro del Pianeta, occorre conoscerne quanto meglio il passato, ridando così piena dignità e significato alle scienze, da alcuni considerare ‘leggere’, quali gli studi di antropologia, etnologia, paleontologia, archeologia, geologia, geografia umana e storica, architettura dei beni culturali… che, spesso, sono oggetto di dibattito, se non, in alcuni casi, proprio di scherno, nell’epoca attuale. Nel testo di Weisman che, ricordo, ha conseguito laurea e master in Letteratura presso la Northwestern University, è Professore Associato in Giornalismo e Studi Latino-Americani dell'Università di Arizona (dove conduce un programma annuale di campo in campo del giornalismo internazionale) e che, nella sua carriera, ha insegnato scrittura e giornalismo al Prescott College (Arizona) e al Williams College (Massachuttes), queste discipline sono legate, in un intreccio indissolubile, con la fisica, la matematica, la chimica, la biologia, l'astronomia, la geografia terrestre, le scienze della terra…, insomma, quelle forme di scienza ‘pesante’, che trovano in genere un terreno fertile e meno ostico presso il mondo della ricerca, in quanto maggiormente legate (almeno questa è la vulgata) alla tecnologia e, quindi, al mercato (cfr. La natura della tecnologia, Brian Arthur, 2010).
Weisman, che dimostra di conoscere molto bene la professione di giornalista scientifico (cfr il blog: Il giornalismo scientifico in Italia e nel mondo), nei ringraziamenti finali ci fa comprendere quante interviste, letture, suggerimenti, inchieste, viaggi, ha dovuto organizzare per predisporre il materiale alla base del testo. E questo è già complicato. Riuscire poi a tessere una tela che organizzi, in una trama lucente e in un racconto scientificamente solido e fanta-scientificamente avvincente tale materiale, bé, è da maestro, risultato di una passione e di una volontà vigorosa e potente.
L’esercizio intellettuale e professionale di Weisman, di per sé già ammirevole, non si esaurisce nell’analizzare i fenomeni passati e nell’integrarli in una ipotesi futura: esso mira a stimolare la curiosità del lettore, di colui che, mentre legge, prende a prestito parte di Gaia, parte della vita che il Pianeta offre, al fine di rendere più vicino il mondo della vita a colui che, leggendo, forse non ha mai avuto vere occasioni di visitarlo nelle sue più diverse espressioni. E si rivolge al lettore per spiegare, in termini semplici, ma sempre rigorosi, che cosa avviene a seguito dei piccoli (o grandi) gesti quotidiani che usiamo fare entro Gaia: dall’uso del combustibile e dei sacchetti di plastica, alla conservazione del cibo con i nostri elettrodomestici “a gas nobili”, all’emissione di scarti “a lunga conservazione” quali i metalli pesanti, all’affollamento elettromagnetico, all’immissione di anidride carbonica nell’aria e ad una quantità di altre cose cui non ci capita mai di pensare in termini di nostra co-abitazione con l’ambiente.
Ora, si badi bene! Precisiamolo: “Il mondo senza di noi” non è un manuale di ecologia, intesa quale propaganda per la conservazione dell’ambiente. È un racconto. Un racconto, scientificamente fondato, sull’ecosistema in cui siamo immersi e su come questo ecosistema potrebbe reagire alla nostra dipartita. È un uovo delle meraviglie, le cui sorprese sono ad ogni paragrafo almeno per chi, come il sottoscritto, non ha conoscenze universali sulla miriade di fenomeni e reazioni che ci passano sotto il naso ogni giorno. E che passeranno sotto il naso di chi ci sarà, una volta noi esclusi, in modalità prevedibili nel limite di quanto osserviamo oggi ed abbiamo osservato ieri.
Affascinante pensare a che cosa potrebbe accadere (ed in quanto tempo) alle nostre città, proiettandone il futuro sulle più iconiche per noi, quali New York o Londra o Roma. Ammaliante scrutare il fondale degli oceani, dove forme di vita al pari di rifiuti donatori di morte si avvicenderanno, evolvendosi in forme forse già state o forse mai. Curioso il mondo senza fattorie e trattori, dove colture in competizione si sfideranno per conquistare gli spazi da noi lasciati liberi e incolti. Inauditi canti dei volatili, quando, non essendo più soggetti alla nostra interferenza, canteranno di percorsi e stormi nuovi. O lasceranno anch’essi il posto a nuove specie, che ora sono in potenza, ma che, senza di noi, potrebbero (ri-)emergere sul Pianeta. Abbandono dei nostri vincoli materiali (ponti, dighe, laghi artificiali, condotti fognari, gallerie, tunnel sottomarini, metropolitane…) per mancata manutenzione e nuovi passaggi per animali vecchi e nuovi, nuovo ri-disegno di confini, ri-plasmarsi di territori. Eredità di lunga data per le quali valgono ipotesi le più diverse (scorie radioattive, liquami velenosi, agenti chimici di laboratorio). Assenza di guerre, almeno a livello umano. Fine dei segnali, almeno quelli inviati nel cosmo dalla mole di emettitori da noi impiantati un po’ ovunque. La nostra conoscenza: compressa in montagne secondo codici che chissà, dopo di noi, chi potrà o vorrà decodificare…
Inutile continuare un’elencazione che non rende ragione né dei contenuti del prezioso documento, né, in particolare, della bellezza con cui sono stati elaborati. Il testo parla a chi vorrà ascoltarlo.
E, di fatto, ha già parlato, letteralmente, attraverso un documentario che, proprio da questo testo, ha avuto origine. Si tratta dell’omonimo Il mondo senza di noi. Cosa accadrebbe se l’uomo scomparisse dalla Terra?”.   Il documentario è assai intrigante e, pur semplificando un po’ dovendo ‘stare’ nei 90’ di un DVD, è abbastanza fedele al testo di Weisman.
Ecco il trailer su YouTube:


Ecco, invece, il sito ufficiale del libro (in inglese) The world without us (bella la sezione Multimedia, che contiene anche collegamenti ai siti di cui si parla nel testo) e il link alla versione inglese di Wikipedia, voce The World Without Us, molto ricca.

Alcuni link sull’argomento trattato nel libro e un appunto.

Da questi pochi link citati, si può notare come il testo di divulgazione  scientifica sia talvolta visto come un testo di scienza (un esperimento mentale), talvolta come un testo ‘best seller’ (a sostegno della vivacità culturale statunitense), talaltra come un testo di cultura spettacolare (catastrophe book basato su dati scientifici).
Il testo di Weisman è tutte queste cose assieme ma, soprattutto, è uno dei diversi prototipi testuali di informazione scientifica su larga scala che, confido, sempre di più si diffonderanno nella cosiddetta “società della conoscenza”, contribuendo a ridurre il cultural divide che ne è parte integrante.

E se un giorno l'umanità scomparisse? La Terra la dimenticherebbe in fretta”, La Repubblica, Scienza e Tecnologia, 12 ottobre 2006
Ecco il mondo senza di noi, andrà in rovina e poi rinascerà”, La Repubblica, Spettacoli e Cultura, 11 marzo 2008
La Terra senza l'uomo”, recensione del testo sul sito “Le Scienze”, settembre 2008
Il mondo senza di noi”, recensioni e commenti su aNobii

In rete, come sempre, migliaia di altri riferimenti. Spazio ai naviganti!

sabato 21 maggio 2011

SEMIOTICA DEI NUOVI MEDIA

More about Semiotica dei nuovi media
Semiotica dei nuovi media” (seconda edizione, 2010), di Giovanna Cosenza è sicuramente un manuale universitario, caratterizzato da un oggetto specifico (i nuovi media, appunto), da una ‘nuova’ semiotica (quella che, fruendo della vasta letteratura semiotica antecedente la comparsa dei nuovi media e di quella frammentaria sui nuovi media, ora si cimenta in un lavoro nuovo: quello di sistematizzare il lavoro semiotico sin qui condotto) e da un obiettivo preciso: promuovere la ricerca semiotica, sia empirica, sia teorica, per indurre nuove riflessioni, ricerche e sperimentazioni nel vasto territorio multi-mediale e delle nuove forme di comunicazione.
Proprio nel precisare l’oggetto, la metodologia utilizzabile e le potenzialità della ricerca nel campo di ‘ciò cui non siamo abituati’ l’autrice, con estremo rigore, innesta i confini del lavoro, precisa definizioni spesso lasche e oscure (multimedialità, per citarne una), anticipa problemi da sciogliere (alcuni nel testo; altri negli studi che ancora non ci sono o sono mal dis-posti nel territorio semiotico), professa la necessità di fornire spunti per la progressione dell’analisi semiotica nei diversi e molteplici mondi, testuali e contestuali, che le nuove tecnologie abilitano.
Sempre senza dimenticare che non è la tecnologia ad interessare lo studio semiotico, quanto le nuove forme di interazione che a mezzo di essa originano e origineranno.  
Il testo non si offre quale testo di base sulla semiotica dei nuovi media. Non nel senso che prima si introduce la semiotica e poi la si applica ai nuovi media. Il testo, e questo risente dell’impostazione manualistica per corsi universitari, si propone, semmai, come prima, potente, riflessione tramite gli strumenti della semiotica (molto usati quelli della semiotica strutturale Greimasiana), applicata al mondo dell’interattività, della multimedialità, degli ipertesti, della comunicazione mediata dal computer, delle comunità virtuali, dei blog, dei mondi immersivi di realtà virtuale, dei videogiochi… Lo sguardo è ampio, ma il filo rosso che lega i capitoli è netto: passare dalla, mi si passi il termine, ‘fanta-semiotica’, alla analisi semiotica rigorosa e metodologicamente affidabile con cui ci si può avvicinare (ed entrare, sperimentare) ai nuovi media. Questo filo rosso è un pregio del testo che, tuttavia, sconta una debolezza di fondo: la necessità di decrivere il fenomeno dell’oggetto di studio e poi di imbrigliarlo nelle maglie della semiotica consolidata. Pur sapendo, e l’autrice ne è consapevole, che, per esempio, parlando di ipertesto, è ormai “imprescindibile e urgente una riflessione che usi concetti e metodi anche diversi, se e quando serve […] senza preoccuparsi eccessivamente di star dentro alle maglie di una definizione unica e generale, se sono troppo strette” (p. 115).  Un’altra debolezza di fondo, per il lettore generalista, non per un discente, è la naturale presupposizione della conoscenza della semiotica generale (e di alcune semiotiche specifiche) da parte del lettore modello del testo: è comunque, più che una debolezza, una necessaria selezione dei fruitori del testo. Se questi sono discenti o ricercatori di semiotica, troveranno in esso una costante apertura: proposte di studi, di indagini, di esperimenti e altro ancora che possano ampliare lo studio semiotico sui nuovi media. In tal senso, il testo pro-muove la ricerca nel settore e, senza girarci troppo intorno, invita i semiologi interessati a prendere l’incarico di contribuire alla sistematizzazione di un’area della comunicazione e dell’interazione così dinamica e cangiante. Seleziono qui due aspetti molto interessanti e arguti che l’autrice ha considerato nell’organizzare il testo.
Intanto il sistema adottato per precisare, una volta per tutte, alcuni concetti un po’ troppo sfumati nei diversi racconti sui new media: partendo da un documento oggettivamente poco considerato in materia, e cioè le
Guidelines” di Apple
per le prime interfacce grafiche, in specie il primo capitolo “Human Inteface Principles”, l’autrice estrae i tredici principi che hanno guidato la filosofia di progettazione dei primi Macintosh, e ne espande le relative metafore per innestarle su quanto è accaduto con e nelle realizzazioni successive. Un modo nuovo e serio per partire alla scoperta delle strutture soggiacenti l’agire modale attraverso nuovi dispositivi. E che consente alla studiosa di elaborare con estrema sintesi una serie di distinzioni oggettivamente utili anche al di là del campo semiotico, per poi introdurre, quasi naturalmente, l’usabilità che, nella HCI, è diventata ossessione idealista per alcuni, complesso di elementi cognitivamente coerenti e dispositivo organizzativo potente, per altri. Nel web, spazio di azione per eccellenza dell’interazione inter(net)mediata, interfaccia ed usabilità sono rielaborate ai fini della semiosi, per la porzione che ciascuna di esse occupa nella formazione del senso per il fruitore. Fruitore che naviga ipertesti, anch’essi definiti nella dimensione non sequenziale che possono (ma non necessariamente debbono) avere: la distinzione tra sequenzialità e non sequenzialità di un testo, tracciata nell’omonimo paragrafo (pp. 101-104), è un bell’esempio di rigore metodologico, che deriva da una attenta analisi puramente fenomenologica del testo tradizionale e dell’ipertesto (discorso poi ampliato nell’eccellente paragrafo “Le forme dello spazio logico”, pp. 107-111).
Quale secondo aspetto, rilevo di particolare interesse il capitolo su “Le nuove forme di comunicazione interpersonale”, laddove l’autrice considera le modalità di innesto del dialogo prototipico introdotto in precedenza per un ragionamento sulle forme di “distanza” delle comunicazioni a mezzo dei new media. È un discorso sul tempo che si fa discorso sull’enunciazione: accelerato il primo, la seconda si integra e acquisisce nuove modalità, pur senza sostituire l’enunciazione e le forme che essa assume nell’interazione ‘faccia a faccia’. E qui siamo già entrati a parlare di Web 2.0 che, più che indicare un nuovo paradigma tecnologico, segnala un nuovo modo di interagire e creare senso (il più delle volte con-diviso) attraverso e nelle reti. Una interazione in cui l’atto performante è cruciale sia a livello del singolo sia a livello dell’hub o di complessi aggregati. 
Tanti altri stimoli emergono dal testo che, mi preme ricordare, non credo vada letto senza una minima, ma abilitante, conoscenza della semiotica. Stimoli che poi possiamo ritrovare nel blog ricco, ricchissimo, di Giovanna Cosenza (DIS.AMB.IGUANDO), dove, peraltro, l’autrice introduce regolarmente brevi post estremamente focalizzati, utili ed interessanti (seppure il blog sia maggiormente orientato alla pratica della semiotica della comunicazione politica, cui l’autrice ha dedicato un testo, che a breve sarà oggetto di recensione), ed importanti soprattutto perché sono zone di interazione ed interlocuzione con discenti e con chi voglia discutere, ragionando e riflettendo, sull’enorme semiosfera che ci circonda, tutti i giorni, in tutti gli spazi sociali e individuali, laddove l’essere umano rivela la sua natura profondamente semiotica.
Link al post: “Che cos’è la semiotica dei nuovi media” di Giovanna Cosenza, da cui ulteriori link sull’argomento.

Link ad un precedente doc word, una sorta di ‘lavori in corso’ sulla “Semiotica dei nuovi media”, sempre dell’autrice.

venerdì 20 maggio 2011

AUTO-ORGANIZZAZIONI

More about Auto-organizzazioniDopo “Prede o Ragni (2005), di Alberto De Toni e Luca Comello, e “Viaggio nella Complessità (2007), degli stessi autori, con “Auto-organizzazioni. Il mistero dell'emergenza dal basso nei sistemi fisici, biologici e sociali (2011), di Alberto De Toni, Luca Comello e Ioan Lorenzo, il viaggio nelle lande della Complessità continua, con la stessa passione, lo stesso impegno e lo stile, quanto mai emozionante, dei primi testi.
La prima parola del titolo, “Auto-organizzazione”, è un po’ l’ombrello che de-limita il contenuto di cui si discorre nel testo. Una de-limitazione che, si sa, nel caso dei fenomeni complessi è un po’ impossibile: de-limitare segna i confini, induce a pensare a modelli chiusi. La complessità, invece, parla tanto di ciò che è chiuso, quanto di ciò che aperto. Per esempio: sistemi chiusi per quanto concerne la struttura, e aperti per quanto concerne lo scambio di energia e/o informazione. Quindi il termine ‘Auto-organizzazione’ va accoppiato, nel cammino che accoglie “l’emergenza del divenire”, proprio dalla parola “emergenza”. In particolare, per il cammino che si percorre nel testo, per quella che è generata dal “basso”, categoria di poco prestigio nell’era delle scienze esatte e delle filosofie razional-idealiste, ma estremamente potente per intrufolarsi nel vasto campo dell’esistenza che è il complesso.
Il testo, nello specifico, ampliando ed al contempo continuando la scia dei precedenti, si concentra su quanto può emergere, dal basso, in tre livelli di sistema: quello fisico, quello biologico e quello sociale. Sempre prestando particolare cura ad evitare verità assolute e facili semplificazioni: la verità può anche esistere, ma ciò che conta è abbracciare la straordinaria creatività della natura, in cui auto-organizzazione, unita a rottura di simmetria e a processi di preadattamento/exattamento, possono essere gli impulsi decisivi che spiegano come si possa giungere a punti critici di instabilità, nei diversi sistemi, fisici, biologi e sociali, a partire dai quali può emergere l’ordine.
Abbandonare i sentieri noti è la prima azione per visitare il mondo che emerge dal basso. E il libro in questo ci accompagna. Con uno stile, citavo all’inizio, che trovo bellissimo: il racconto, puntuato, ora accelerato ora rallentato, molte frasi nominali, discorsi con i grandi del passato e del presente e con il lettore, tante volte interpellato, chiamato, portato di fronte alle meraviglie ora dell’emergenza, ora dell’auto-organizzazione, ora delle strutture biologiche e sociali, dalla voce piena di passione ed ammaliante, quasi il canto di una sirena, degli autori. E con un apparato grafico che non è da meno: innovativo, diverso, sfruttante la potenza dell’immagine, che racconta il raccontato, nonché ricco di schemi, innovativi anche quelli, che mostrano come il tutto sia in relazione, e con le parti e con se stesso. Infine, perché
Auto-organizzazioni” è anche un manuale di riferimento, con tabelle sintetiche, collocate in fondo ad ogni capitolo, “antico appiglio” per noi figli della scrittura lineare, “una riduzione di ricchezza, certo, compensata […] dalla sicurezza della stabilità”, intersezioni tra esempi presentati e le loro caratteristiche e declinazioni. Giusto per non perdere la bussola. Per continuare.
Si è scritto: un manuale di riferimento. Destinato a chi? Bé, destinato intanto a tutti coloro che vogliono iniziarsi ai principi che paiono essere costanti nei fenomeni complessi. Perché noi cerchiamo il costante nei fenomeni, per comprenderli, per non rimanre s-paesati, dis-locati. E poi destinato ai manager o ai funzionari delle imprese che, sulla scia di una pletora di paradigmi aziendali, si trovano ora, forse, spiazzati di fronte al cambiamento, qualitativamente diverso, dinamicamente articolato e più veloce. Acquisire il senso dell’auto-organizzazione, del bottom-up, integrato con il top-down (con un po’ più del primo che del secondo), può aprire un futuro affascinante per le imprese che vogliono vivere, competere, affermarsi o adattarsi al mondo complesso di oggi e, presumibilmente, di domani.
Ben consapevoli, sia chiaro, che quanto vale per il livello fisico e quello biologico, non può essere trasposto così come è, senza mediazioni e modificazioni, al livello sociale, che è di una complessità diversa, forse superiore. Occorre allora, allenatisi nella fisica e nella biologia dell’emergenza, avvalersi di questi nuovi strumenti conoscitivi non attraverso la mera trasposizione, ma a mezzo di una loro interpretazione al livello sociale. Non omologia, quanto analogia, scrivono gli autori.
Da celle di Bénard, laser, orologi chimici, ipercicli... verso i misso miceti, il DNA, le reti neurali, e i comportamenti degli insetti ‘sociali’ quali api, formiche, termiti, e gli stormi… sino a discutere di autocoscienza, storia, tattiche di guerra, scale free networks (tanto in internet quanto, in generale, dove ci sono hub, come quelli degli aeroporti), reti di saperi, mercati, terrorismo, agglomerati urbani… società: more is different. Ed è una sfida.
Una sfida che ha tante declinazioni. Una di esse è la sfida alla gerarchia, eredità aristotelica dominante per secoli nell’organizzazione della conoscenza, nell’etica e nella cultura aziendale. Sfidare la gerarchia è promuovere strutture alternative. Che del complesso abbiano la consapevolezza e dell’auto-organizzazione l’anima. Conosci te stesso. Ascolta i poeti. Non irrigidirti in schemi pre-concetti. Perché la complessità abbraccia tutti noi.
Non bisogna scoraggiarsi: “Che cosa c’è di buono in tutto questo, ahimè, ah complessità. Che tu sei qui, che esiste la vita e l’individuo, che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un tuo verso”. Qui sta il punto. Qui l’azione, che è sempre anche, indissolubilmente, ricerca.

Il testo è chiuso da due brevi gioiellini:

La postfazione su auto-organizzazione e nuovi modelli organizzativi” di Emilio Bartezzaghi, professore ordinario di gestione aziendale presso il Politecnico di Milano, che è parola data ad un tecnico e studioso dell’azienda: il quale riprende il filo rosso del discorso del libro e, con un’abilità quanto mai apprezzabile, lo colloca nello spazio di confronto attuale sull’impresa.
Salutiamoci con una fiaba”, di Piera Giacconi. Una fiaba, perché “la realtà non può essere solo condensata in un sistema di equazioni: il complesso, da sempre, va raccontato”. E si sa, la parola è magica. La parola è conoscenza che evolve. Mondi possibili che si realizzano. Leggende che aprono nuovi punti di vista, scorci di lucidità nel complesso che ci circonda.

Mi fermo qui, cogliendo l’occasione di ‘legare’ a questa recensione:

Il primo paragrafo di “Auto-organizzazioni”, dal blog Complessamente di Luca Comello, dove potete trovare anche la quarta di copertina e un link ad un’intervista con Comello.

Un video da vedere a tutto schermo e tutto volume. Meraviglioso.

sabato 14 maggio 2011

CODICE IN EVOLUZIONE - AL DI LA' DEI FURBI E DEI FESSI

Dal sito CioRantolo, ecco il "Codice della vita italiana", Capitolo I:

‘Dei furbi e dei fessi’ [Giuseppe Prezzolini]:

1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.
2. Non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso.
3. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.
4. Non bisogna confondere il furbo con l’intelligente. L’intelligente è spesso un fesso anche lui.
5. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.
6. Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.
7. Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.
8. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.
9. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro.
10. L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.
11. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.
12. Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.
13. Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.
14. Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l’altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c’è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c’è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e la associazione con altri briganti alla guerra contro questi.
15. Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.
16. L’Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l’italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l’esempio e la dottrina corrente – che non si trova nei libri – insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l’ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un’altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l’Italia, è appunto l’effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.
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Ho citato qui il pezzo del Codice che non voglio leggere mai più.
E non voglio leggere mai più frasi di italiani rassegnati
 e che si auto-convincono a generalizzare dicendo "Eh, sì, proprio così!", "Giusto! L'Italia è così, non c'è nulla da fare!", "Quanto ha ragione!" et similia, contribuendo a formare una sorta di previsione che si auto-realizza proprio in quanto la si diffonde.
E crea un  clima. Un respiro. Che si fa soffocamento.
Repetita diabolica non juvant.
Ora è tempo di imparare a parlare della realtà in modo diverso, più critico.
Non inducendo, dal comportamento evidente di alcuni, un comportamento necessariamente indegno di tutti.
Ora si tratta di riscrivere il Codice della vita italiana,
perché in Italia ci sono tanti differenti e intelligenti,
a fianco di tanti indifferenti e furbi.
E' ora di parlare della prima categoria, perché della seconda si è già propagandato abbastanza.
La seconda è addirittura diventata l'etichetta del made-in-italy sociale italiano. 
Ora è tempo per un nuovo made-in-italy, per un nuovo Codice.
Proponiamoci di scriverlo!

Facciamo nostro questo messaggio di differenziazione. 
Diffondiamolo
Come i furbi diffondono il loro di omologazione e di indifferenza.
Perché non vogliamo essere complici dei furbi. 
Perché il loro messaggio non parla di noi.

sabato 7 maggio 2011

LIMIT

More about LimitDopo "Il Quinto Giorno", mai mi sarei aspettato che un altro romanzo di Schatzing potesse superare l'emozione e lo stimolo alla cognizione quanto il primo che avevo letto.
E, invece, "Limit" è semplicemente stupefacente. Dimostra una padronanza della tecnica narrativa fuori della norma, pari solo alla travolgente forza espressiva di pochi autori di metà Ottocento. La trama è (s)coinvolgente, ricca di suspence, di infiniti nodi che si slacciano e si riallacciano, in una splendente ghirlanda di circostanze collocate poco più in là del 2010 e, quindi, costituenti un punto di lancio tra ciò che ci circonda e ha fatto la nostra storia e ciò che, sotto certe possibilità, può declinare l'immediato futuro.
Certo, è narrazione creativa, quindi, se il punto di aggancio del testo sta nel nostro reale, il testo stesso poi si sgancia in scenari possibili. Possibili però non basta: anche vero-simili.
Si taccia l'autore, in molte recensioni, di avere ammassato una serie di preconcetti ideando un miscuglio ad alto impatto ma, nei fatti, banale. 
Non concordo manco un poco su questo punto. Infatti, come ogni grande scrittore, Schatzing ha elaborato una serie di fonti e di informazioni a dir poco esorbitante. Il testo "emerge", perché l'autore ha studiato, di persona e con l'aiuto diretto di esperti nei campi più disparati, tutto quanto poteva servire a fare del fanta-romanzo, un romanzo dei nostri giorni.
Un romanzo che fa riflettere, pone quesiti di ordine etico individuale e sociale, espone in che direzioni la scienza potrebbe andare, ma non da sola. Accompagnata dalle dinamiche geo-politiche del settore petrolifero, dalle strutture dei grandi agglomerati industriali, dalle previsioni per il futuro e il mercato delle energie alternative. Il tutto considerando le moderne e future comunicazioni a mezzo di reti o ambienti virtuali, gli studi sulla popolazione, sulla sua distribuzione, sull'architettura e la pianificazione urbanistica, naturalmente ogni elemento incastonato nelle economie reali di inizio Millennio (Cina, Stati Uniti, Europa, Africa, stati dell'Ex-URSS, e così via). Si conosce, inoltre, la logica di lavoro e di vita dei mercenari, delle agenzie di sicurezza private, dei servizi segreti deviati, delle nuove armi e delle nuove posizioni assunte da chi una volta poteva lavorare per l'esercito della propria Nazione. Ora e nel futuro, invece, secondo potenziali altre logiche.
Insomma, un lavoro immenso sta dietro l'emergere del romanzo. Che si staglia come un organismo narrativo straordinariamente intra-connesso e al contempo aperto all'integrazione del lettore.
Vero, l'edizione italiana è di ben 1370 pagine, ma di certo questo non è un 'limite', semmai uno stimolo, per immergersi con l'autore in un thriller maledettamente attuale (scrivo il 7 maggio 2011, e il prezzo della benzina ha registrato in Italia un nuovo picco) e rivelatore.